Se l'accordo sul nucleare è stato il suo grande successo politico sul piano internazionale, è ora tutta interna la partita che il presidente Hassan Rohani si deve giocare per garantirsi il rinnovo del mandato nel 2017 e rispondere alle promesse fatte ai suoi elettori, sia sul piano economico che su quello delle libertà politiche e culturali. E' dunque in questa luce che il voto di oggi per il Majlis e l'Assemblea degli Esperti è cruciale per il suo futuro.
Una partita interna in cui le dinamiche del consenso sono impastoiate da norme costituzionali che affidano le redini del gioco alla Guida suprema e agli organi che questa controlla - primo fra tutti quel Consiglio dei Guardiani che ha preventivamente decimato i candidati moderati e riformisti. Ma che gli alleati di Rohani hanno sperato di vincere con una massiccia partecipazione a favore dei propri candidati. Da qui gli appelli al voto dello stesso Rohani e del suo popolare ministro degli Esteri Javad Zarif, seppur nel quadro di un richiamo a quel condiviso orgoglio nazionale cui si appellava per opposti motivi anche la Guida suprema Ali Khamenei.
Anche questi infatti ha esortato fino all'ultimo giorno ad una vasta partecipazione. E non solo per decretare con questo atto collettivo di legittimazione del sistema la "sconfitta dei nostri nemici", come sottolineato da Khamenei, ma soprattutto per mantenere il controllo dell'Assemblea degli Esperti (che probabilmente eleggerà la prossima Guida ) e del Majlis, dal quale continuare ad ostacolare le politiche di cambiamento e di apertura annunciate dal presidente.
I conservatori oltranzisti hanno infatti costantemente tentato di mettere i bastoni tra le ruote alla squadra negoziale di Zarif ai tavoli di Ginevra e di Vienna, pur consapevoli che quell'accordo avrebbe avuto il via libera definitivo, seppur a denti stretti e con inveterata retorica anti-americana, dallo stesso Khamenei. Mentre riaffioravano periodiche iniziative per la sfiducia a vari ministri, e la magistratura - dominata dalla stessa ideologia - metteva il morso alle libertà politiche e culturali con periodiche ondate di arresti e condanne, o anche solo con cancellazioni di eventi e concerti pur autorizzati. Nei prossimi giorni, con la conta degli eletti, si capirà chi avrà vinto questa partita politica tutta interna al sistema. Ma anche dovesse ottenere il miglior risultato possibile, Rohani non avrà certo tempo per sedersi sugli allori. La revoca delle sanzioni non sarà di per sé sufficiente a liberalizzare e adeguare al mercato internazionale - soprattutto in tempi di bassi prezzi del petrolio - un'economia dove dominano la corruzione e i monopoli di potentati legati alle Guardie della rivoluzione e alle fondazioni religiose. E a creare occupazione per tanti giovani qualificati e pronti ad andare all'estero. E senza una solida base parlamentare, sarà ancora più difficile per Rohani rispondere alle richieste di maggiori libertà politiche e di espressione che gli giungono da una società civile colta e già occidentalizzata. A cominciare dalla liberazione dagli arresti domiciliari cui sono costretti da cinque anni gli ex candidati presidenti, e leader dell'Onda verde del 2009, Mehdi Kharrubi e Mir Hossein Mussavi.
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