Si lascia alle spalle il divorzio dall'Europa e un gatto. David Cameron impacchetta le sue cose e archivia con un ultimo consiglio dei ministri 6 anni al governo della Gran Bretagna: segnati inevitabilmente dal referendum sulla Brexit che egli stesso aveva architettato e che infine lo ha travolto. Se ne va a nemmeno 50 anni (li compirà a ottobre, negli stessi giorni in cui la donna chiamata a succedergli e a rimettere insieme i cocci, Theresa May, spegnerà 60 candeline) con la moglie Samantha e i tre figli. Ma non con Larry, il micione che dal 2011 viveva con loro al numero 10 di Downing Street e che ha diritto di restare perché - ha precisato serio un portavoce - è "un impiegato dello Stato", addetto alla caccia ai topi nella residenza politica più famosa del regno. Fra i colleghi di governo e fra i deputati del Partito Conservatore oggi è tutto un coro di tributi e salamelecchi, alternati a omaggi non meno unanimi nei confronti dell'entrante May: impegnata a soppesare i nomi della futura compagine in attesa di farsi consegnare le chiavi di casa domani sera dopo il doveroso passaggio a Palazzo dalla regina. Owen Jones, graffiante commentatore del Guardian, vede invece un altro Cameron e ne bolla la premiership come "la più disastrosa dai tempi di Neville Chamberlain", l'uomo consegnato alla storia come colui che si piegò all'appeasement con un certo Adolf Hitler.
Una moderna "tragedia che pagheremo tutti", sentenzia. Giudizio tagliente che altri non condividono. Ma che ha il merito di concentrarsi sulla sua vera eredità storica: quella di fronte alla quale svaniscono il rinnovamento della classe politica Tory, la ripresa economica (pur al prezzo di tagli e disuguaglianza), il rilancio dell'occupazione (magari precaria, ma a livelli record) e qualunque altro merito gli si voglia attribuire sul terreno dell'ordinaria amministrazione. Quel che resta passa adesso nelle mani di Theresa May, per sei anni sua ministra dell'Interno e severa custode di una linea dura sull'immigrazione talora incapace di reggere alla prova dei fatti. Comunque una figura esperta, in grado - almeno sulla carta - di provare a riunire il partito e a dare un minino di stabilità al Paese. Neppure per lei sarà facile.
La quasi coetanea Angela Merkel, non meno coriacea cancelliera tedesca che con Theresa condivide l'essere figlia di un ecclesiastico, le ha fatto sapere oggi che il negoziato per trovare un nuovo modus vivendi con l'Ue sarà in salita: "Chi vuole avere accesso al mercato unico deve accettare in cambio tutte le libertà fondamentali, compresa la libertà di movimento delle persone", ha ribadito da Berlino, quasi intimandole - all'unisono con Bruxelles - di "fare chiarezza" sulla strategia britannica. A cominciare dall'attivazione di quell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, premessa di una procedura formale di separazione. Prima di rispondere, l'erede in grigio di Margaret Thatcher dovrà in ogni modo completare la sua squadra. Si annunciano scambi di poltrone fra diversi reduci del gabinetto Cameron, ma anche qualche novità: a partire dal ruolo di ministro per la Brexit, chiamato a dar seguito alla promessa di May di voler fare dello sganciamento dall'Ue "un successo", per il quale potrebbe essere rispolverato - con il pennacchio di segretario di Stato - Liam Fox: ministro della Difesa in anni passati ed euroscettico di ferro. Mentre il filo-Remain George Osborne dovrebbe lasciare il posto chiave di cancelliere dello Scacchiere (ossia il Tesoro, per il quale sembrano in corsa l'attuale titolare del Foreign Office, Philip Hammond, ma pure un brexiter come Chris Grayling) per essere magari 'compensato' con gli Esteri. Intanto la sterlina tira il fiato e risale, al pari dell'indice Ftse alla Borsa di Londra. L'ascesa della veterana May, se non altro, non appare un azzardo ai mercati, alla disperata ricerca di certezze sullo sfondo dei moniti del Fmi. Cameron, anche alla City, è già il passato.
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