(di Ugo Caltagirone)
Al grido di "Mni Wiconi" - l'acqua è la vita - la nazione Sioux si appresta a combattere. A sfidarla è stato Donald Trump, che con un decreto (uno dei primi firmati al suo arrivo alla Casa Bianca) ha dato il via libera al completamento dell'oleodotto Dakota Access, in North Dakota.
Così dal genio militare sono arrivati nelle ultime ore i permessi definitivi per lo sblocco dei cantieri. La Energy Tranfers Partners, colosso energetico texano con sede a Dallas, non ci ha pensato due volte, facendo immediatamente ripartire quelle ruspe che erano state fermate dall'amministrazione Obama, provocando rabbia e sconcerto tra le tribù dei nativi.
L'ultimo tratto dell'opera (circa tre chilometri) attraversa infatti terreni sacri per la nazione Lakota, le vaste pianure all'interno della riserva indiana di Standing Rock, quella in cui fu ucciso Toro Seduto. Ma soprattutto le tubature - che avranno una capacità massima di 550 mila barili di greggio al giorno - passeranno sotto il fiume Missouri e le acque del lago Oahe, con il rischio reale di una contaminazione delle falde acquifere.
"Siamo di fronte a una spaventosa violazione dei diritti umani, oltre che di fronte a un'azione del tutto illegale", denuncia Amnesty International, al fianco dei nativi e delle associazioni ambientaliste che contestano l'offensiva voluta da Trump senza che le popolazioni locali siano state consultate. E senza che siano stati studiati percorsi alternativi dell'oleodotto come aveva chiesto Barack Obama.
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