L'Italia sulle sanzioni appoggia e appoggerà la linea dell'Unione europea. Anche se si dovesse optare per la "bomba nucleare" - copyright del francese Le Maire - di escludere Mosca dal sistema di pagamenti Swift. Il presidente del Consiglio Mario Draghi sente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e chiude il caso della telefonata mancata di ieri, che aveva alimentato qualche dissapore tra le diplomazie. Solo un "malinteso", perché Italia e Ucraina sono "vicine", e Roma è pronta a dare a Kiev tutto l'aiuto necessario, conferma il premier, mentre emergono i primi distinguo tra i partiti della sua maggioranza, tra le scaramucce tra Pd e Lega e la proposta M5S di istituire un Recovery energy fund.
Draghi sente Zelensky di prima mattina: "E' l'inizio di una nuova pagina nella storia dei nostri Stati" twitta il leader ucraino. Zelensky "ha confermato il chiarimento totale del malinteso di comunicazioni avvenuto ieri e ha ringraziato" Draghi per il "sostegno", ha aggiunto Palazzo Chigi, confermando che il presidente del Consiglio ha garantito che l'Italia "fornirà all'Ucraina assistenza per difendersi". Già il decreto di ieri ha finanziato la fornitura di "equipaggiamenti militari non letali", ma si dovrebbe andare oltre, probabilmente con un nuovo decreto a stretto giro. Siamo "in guerra", è in sintesi la linea di Palazzo Chigi, e si farà tutto quello che è necessario.
Ma l'apertura di Draghi a Swift agita i partiti, perché un punto che unisce tutti, anche le opposizioni, è proprio quello di evitare che le sanzioni si trasformino in un boomerang per l'economia italiana, più esposta delle altre economie europee, insieme alla Germania, per le dipendenze dal gas russo. "Vanno bene le sanzioni, però senza essere autolesionisti", perché se si butta fuori la Russia da Swift, avverte subito Matteo Salvini, l'Italia rischia "il blackout". Parole raccolte dai Dem per provocare il leader leghista: dica da che parte sta invece di fare "calcoli economici sul prezzo da pagare per la libertà di un popolo e la democrazia" va all'attacco Lia Quartapelle, ricordando il suo "scambierei due Mattarella per un Putin", pronunciato anni fa in visita alla Piazza Rossa. I pentimenti, si limita a dire il segretario leghista, "si fanno in Chiesa". E torna a chiedere, dopo la visita al console ucraino, di "ragionare con tutti", sulla strada "indicata anche dal Santo padre in queste ore".
In questo clima non sarà facilissimo arrivare a una mozione unitaria da votare martedì, dopo le nuove comunicazioni del presidente del Consiglio. Si dovrebbe puntare su un documento molto asciutto, "ancorato" alle parole di Draghi, alle decisioni già prese sulle sanzioni e al perimetro militare delineato dal decreto di ieri. Il lavoro è già avviato ma fino all'ultimo dovrà essere tenuto aperto, per poter tener conto degli sviluppi - al momento poco prevedibili - del conflitto. A tirare le fila, ci sono i presidenti delle commissioni Esteri di Camera e Senato, Piero Fassino (Pd) e Vito Rosario Petrocelli (M5s), il sottosegretario Enzo Amendola e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Inca'. L'intenzione sarebbe quella di tenere dentro anche FdI, principale partito d'opposizione, che ha già presentato, come spiega il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida, i suoi 3 punti: ancorare le sanzioni a una compensazione delle imprese come con la Brexit - una proposta avanzata anche dal leader di Iv Matteo Renzi - lo status di rifugiato per i profughi ucraini e colpire con le sanzioni la parte di sistema politico russo più vicina a Putin.
In parallelo prosegue il lavoro tecnico del governo per preparare i piani di emergenza, dal fronte umanitario alla cybersicurezza: il rischio crisi energetica è primo nella lista (ma si aspetta anche la risposta europea che potrebbe arrivare nel Consiglio straordinario previsto per lunedì), e si valuta se sia necessario accompagnare il piano - illustrato nel dettaglio da Draghi in Parlamento - con norme specifiche. Intanto già per via amministrativa si stanno aumentando i rifornimenti per iniziare a ripristinare le riserve, da un lato, e dall'altro dovrebbe essere riportata a pieno regime la produzione delle centrali a carbone anche operanti, a Civitavecchia e Brindisi.
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