"Non è ancora morta la gloria dell'Ucraina, né la sua libertà. A noi giovani fratelli il destino sorriderà di nuovo". L'inno nazionale ucraino risuona nel cuore di Leopoli, intonato da artisti noti della città - c'è anche il vincitore di un'edizione ucraina di The Voice, Pavlo Tabakov -, ragazze giovanissime, capelli lungi, jeans e felpa, che si abbracciano con malinconia, anziane con il collo di pelliccia, il cappellino in tinta e la mano sul cuore. "Sono sicura che fermeremo gli occupanti. Proteggeremo l'Europa da questi selvaggi, come abbiamo sempre fatto", dice risoluta una di loro.
Leopoli reagisce così alla paura che avanza, dopo che i missili di Putin hanno colpito nella notte sempre più vicino, a Yavoriv, appena 50 km a ovest, e solo 20 dal confine polacco, facendo decine di vittime. L'obiettivo era militare, un centro di addestramento e peacekeeping, dove si presume operino - o abbiamo operato - anche soldati stranieri. Ma mai finora i russi avevano colpito così vicino ai confini dell'Ue. E della Nato.
L'allarme aereo è scattato in piena notte e ha tenuto la città col fiato sospeso per almeno 3 ore. Notti che si fanno sempre più brevi, nei rifugi o chiusi in casa. Gli abitanti di Leopoli si erano quasi abituati ai falsi allarmi, alcuni non uscivano neanche più in cerca di riparo. Ma adesso tutto è cambiato, il pericolo si avvicina e al primo segnale i rifugi si riempiono in un baleno.
Stamattina il centro di Leopoli si è rianimato a fatica, un po' per la domenica appunto, un po' per la notte in bianco. Il cielo era grigio, i credenti si affrettavano alla messa delle 9 nella Chiesa greco-cattolica dei Santi Pietro e Paolo, la chiesa dei militari. I bar hanno cominciato lentamente ad aprire. A metà mattinata, però, le sirene squarciano di nuovo questa apparente normalità. L'allarme in pieno giorno - stavolta senza alcuna conseguenza - non si sentiva da giorni.
Nel rifugio gli ucraini, ostinati come hanno dimostrato in questi 18 giorni di guerra, continuano a lavorare, a studiare o semplicemente aspettano. Chi seduto su una panca ha il computer aperto sulle ginocchia, chi legge un libro nonostante la luce fioca, chi resta in piedi con una candela in mano. E prega.
L'allarme cessa di nuovo, si ritorna in superficie. Il cielo si è aperto, si affaccia il sole. In meno di un paio d'ore Leopoli cambia volto, di nuovo. "Qui è tranquillo", dice Vladi, che scatta foto alla sua Larissa e ai loro bambini davanti alla Chiesa della Santa Eucaristia, come una qualsiasi famigliola in vacanza, tra i negozi di souvenir e il mercatino dei libri usati. E invece raccontano: "Siamo arrivati due giorni fa da Irpin. Siamo dovuti scappare". Irpin, quel sobborgo di Kiev dove i russi hanno ucciso civili in fuga. E Leopoli, la loro oasi di pace. "I bambini adesso sono più sereni". Vladi e Larissa non hanno ancora deciso dove andranno a stare, per ora sono ospiti di amici. C'è una parente a Genova che sarebbe disposta ad accoglierli. "Ma lei non ci vuole andare, non mi vuole lasciare", spiega lui che non può lasciare l'Ucraina come tutti gli uomini arruolabili tra i 18 e i 60 anni. Vladi grande e grosso, Larissa minuta e schiva, si abbracciano. Lui sorride, la bacia e la porta via.
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