"Ti svelo un segreto. Noi abbiamo un'arma che nessuno ha e che neanche voi europei potete spedirci: le donne". Al Politecnico di Odessa, laddove la città e il Mar Nero cominciano a guardarsi negli occhi, decine di donne si preparano a scendere in battaglia. Le navi russe, all'apparenza invisibili, tengono la città sotto tiro. Qua e là si sentono colpi di artiglieria anticipate dalle sirene anti-aeree. La difesa ucraina tiene ma Odessa non si distrae e recluta centinaia di miliziani volontari. Uomini, all'inizio. Donne, negli ultimi giorni. "Sono tantissime, vengono qui, vestite anche in maniera elegante e vogliono prendere lezione di kalashnikov. Non per difendere se stesse ma l'Ucraina", racconta Alex, uno dei personaggi chiave di questo centro di addestramento messo su in pochi giorni ma nel quale nulla appare improvvisato. Questo tipo di scuole, sin dai primi giorni della guerra, è andato diffondendosi in tutta l'Ucraina, su differenti livelli. Se a Leopoli, città ancora lontana dal fronte caldo del conflitto, si guarda all'insegnamento dei fondamentali qui, a Odessa, l'Ak-74 viene svelato in quasi tutti i suoi segreti. Centinaia di persone a settimana si allenano a smontarlo e rimontarlo. A sparare dietro le barricate. A sparare in movimento, mirando al cielo del Mar Nero, mai così minaccioso come in quest'inverno. Da ogni area della città sono arrivati nelle ultime tre settimane qui al Politecnico per seguire le lezioni degli istruttori, quasi tutti membri dell'esercito ucraino. Sono lezioni accurate, fatte a persone che non sempre sono alla prima esperienza con le armi. Ognuno qui, si allena con un'arma data in dotazione. Il tempo stringe e a Odessa, il D-Day, potrebbe essere anche domani.
"Io già lavoravo con i militari, occupandomi delle medicazioni. Ora sono alla prima lezione, ma sto imparando", spiega Elena Savchenko, truccata come se fosse al Teatro dell'Opera ma lesta, subito dopo, a imbracciare il suo kalashnikov: "Qui le donne sono tante, siamo pronte. C'è bisogno anche di noi e dobbiamo tutti aiutarci". Nelle poche pause concesse c'è la corsa a fumare fuori al balcone di questo edificio sovietico nell'origine e nell'architettura, dove quella che, forse, era una palestra si è trasformata in una simulazione di una battaglia, con tanto di sacchi si sabbia. Qui non c'è spazio per i negoziati. Qui le sanzioni di Bruxelles sono lontane anni luce. Il mantra è resistere e vincere. "Non è difficile imparare ad usare un Ak-74. E' un qualcosa di meccanico, basta assorbire e memorizzare i movimenti", racconta una giovane ucraina che si occupa dell'organizzazione. Un passato da ballerina, un futuro chissà dove. Il passato di Anton e Katarina è ben impresso nella loro memoria. Tre giorni fa erano ancora a Kherson, una delle prime città conquistate dai russi. Raccontano di aver vissuto settimane nella paura e nel mirino dei soldati nemici. Poi hanno deciso di scappare. Tre checkpoint russi, il panico di un corridoio per gli sfollati aperto solo per 15 minuti, poi l'ultimo controllo giallo-blu. Infine, Odessa. E i russi? "Noi - racconta Katarina - viviamo in una casa in campagna. Si sono presentati armati e ci hanno chiesto di essere loro amici. Ci ha parlato mia madre, li ha fatti entrare. Li ha fatti andare nella nostra sauna e ci hanno detto che sarebbero venuti ogni sera per usarla". Finché Anton, Katarina e sua madre non hanno scelto la libertà.
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