Il 4 marzo scorso, intorno alle sette del mattino, a Bucha, 30 chilometri a nord-ovest di Kiev, era già arrivata quella che Kiev ormai definisce 'un'apocalisse'. Giungeva sotto le spoglie di soldati russi che passavano in rassegna un intero quartiere: casa dopo casa costringevano i residenti a uscire dalle loro abitazioni, sotto la minaccia delle granate. Correva la paura, amplificata dal rumore di vetri rotti di porte e finestre, gesti che sembravano voluti come preannuncio della violenza. E infatti non molto più tardi circa 40 persone lasciate per ore al gelo in piedi, dopo essere state radunate in un piazzale, erano di fronte a un giovane uomo fatto inginocchiare sul ciglio della strada, il volto coperto con la sua stessa maglietta, ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Un'esecuzione. Altri quattro allineati come ad attendere un destino simile ed inevitabile. Cinque giorni dopo, il corpo senza vita del giovane giaceva ancora nello stesso posto. La testimonianza è di un'insegnante che ha raccontato l'episodio nei macabri dettagli a Human Rights Watch. La Ong ha raccolto diverse resoconti simili fra loro. "I casi che abbiamo documentato mostrano indicibili deliberate crudeltà e violenze contro civili ucraini", ha sottolineato Hugh Williamson, direttore di Hrw per Europa e Asia centrale, "stupro, omicidio e altre violenze perpetrate su persone in mano alle forze russe devono essere oggetto di indagini per crimini di guerra", ha aggiunto. Sono 10 le persone intervistate da Human Rights Watch, tra cui testimoni, vittime e residenti in zone occupare dalle forze russe. Le conversazioni sono avvenute sia di persona che per telefono e molti hanno chiesto di essere identificati soltanto con il primo nome o con uno pseudonimo. Dmytro, di 40 anni, ha raccontato la fuga sua e della sua famiglia da Bucha, ormai alla mercé di pesanti bombardamenti. Si sono messi in marcia il 7 marzo a piedi, non essendo al corrente di corridoi umanitari. Avvolti in lenzuola bianche e agitando fazzoletti bianchi, sono arrivati nel vicino villaggio di Vorzel dove per due notti si sono rifugiati nel seminterrato di un edificio di due piani. E' lì che hanno toccato con mano la violenza folle, e il terrore che questa scatena. In quel seminterrato c'era anche una donna ferita alle gambe e al torace: era stata ferita il giorno prima quando militari russi avevano fatto irruzione nel rifugio e avevano lanciato una granata lacrimogena. Una trappola mortale: in tanti, in preda al panico, sono usciti di corsa dal seminterrato e sono diventati bersaglio facile dei soldati russi che aspettavano all'esterno. Ed è allora che la donna è stata ferita, mentre stando a chi era presente e si è salvato, un ragazzo di 14 anni è stato colpito alla testa ed è morto. Dmytro ha concluso il suo racconto rivelando che la stessa donna è deceduta l'8 marzo. Lui stesso, insieme con altri residenti locali, l'hanno sepolta non lontano dal rifugio. "La Russia ha un obbligo davanti alla legge internazionale di indagare in maniera imparziale su presunti crimini commessi dai suoi soldati", ha sottolineato, "i comandanti devono riconoscere che una mancata azione contro uccisioni o stupri li possono rendere personalmente responsabili di crimini di guerra".
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