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Violenza domestica, la Corte di Strasburgo condanna l'Italia

Violenza domestica, la Corte di Strasburgo condanna l'Italia

La condanna per non aver protetto una donna e i suoi figli dalle violenze del convivente

STRASBURGO, 07 aprile 2022, 16:19

Redazione ANSA

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La Corte europea dei diritti dell 'uomo © ANSA/EPA

La Corte europea dei diritti dell 'uomo © ANSA/EPA
La Corte europea dei diritti dell 'uomo © ANSA/EPA

La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha condannato l'Italia per non aver protetto una donna e i suoi figli dalla violenza domestica terminata in tragedia.

I fatti risalgono al settembre del 2018 a Scarperia (Firenze), quando un uomo uccise a coltellate il figlio di un anno, ferendo in modo grave anche la convivente e cercando di uccidere l'altra figlia.  La sentenza ha stabilito che "i procuratori sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla".

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A rivolgersi alla Cedu era stata la madre del bimbo ucciso, Annalisa Landi, rappresentata dall'avvocato Massimiliano Annetta. Nel suo ricorso la donna sosteneva che lo Stato italiano avesse violato il suo diritto alla vita e quello dei figli, e che la violazione nei suoi confronti fosse da imputare in parte a un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne da parte delle autorità.

Dai fatti riportati nella sentenza emerge che prima del giorno della tragedia culminata con l'uccisione a coltellate del figlio di un anno, il ferimento della donna e il tentato omicidio anche della figlia di 7 anni, il 14 settembre del 2018, la donna era stata già aggredita tre volte dal compagno, nel novembre del 2015, nel settembre 2017 e nel febbraio 2018, e che avesse sporto diverse denunce. Nonostante l'apertura di una procedura per violenza domestica e l'indicazione di un esperto che indicava la pericolosità dell'uomo a causa delle patologie di cui soffriva, consigliandone anche un programma terapeutico, durante l'inchiesta non venne presa alcuna misura per proteggere la donna e i suoi figli.

Nel giudicare il caso, la Corte di Strasburgo ha pertanto stabilito che lo Stato ha violato il diritto alla vita della donna e di suo figlio, ma non ha riconosciuto l'aggravante della discriminazione. Nella sentenza i giudici constatano che le autorità avevano il dovere di effettuare immediatamente una valutazione dei rischi di nuove violenze da parte dell'uomo e prendere le misure necessarie a prevenirli. Ma non l'hanno fatto, nonostante sapessero, o avrebbero dovuto sapere, che esisteva un rischio reale e immediato per la vita della donna e dei suoi figli.

Per il legale di Landi, Massimiliano Annetta, la sentenza è "molto interessante e per certi versi dirompente, che impone allo Stato italiano un rafforzamento delle misure di protezione delle vittime di reati violenti". Lo Stato italiano, precisa l'avvocato, è stato condannato "perché non ha posto in essere tempestivamente le necessarie misure di protezione della vita della ricorrente e dei suoi figli, nonostante costei sin dal 2015 avesse presentato nei confronti del compagno numerose denunce per reiterate aggressioni e violenze poste in essere nei suoi confronti e reiterate minacce di togliere la vita ai loro figli".

"Secondo la Corte - ha detto Annetta - i pubblici ministeri sono rimasti totalmente inerti di fronte al grave rischio corso dalla ricorrente, consentendo al suo compagno di continuare ad aggredirla, fino al drammatico epilogo". Secondo l'avvocato, è "di particolare rilievo l'affermazione della Corte che ha ritenuto immediatamente esperibile il ricorso perché all'interno dello Stato non sussistono rimedi da perseguire per far valere il fallimento dello Stato nell'obbligo di protezione". "Questo significa che le vittime rimaste prive di ascolto e protezione da parte delle autorità statali potranno, immediatamente, esperire ricorso alla Corte europea per chiedere un risarcimento in conseguenza della violazione dell'obbligo di protezione del loro diritto alla vita", ha spiegato Annetta.

Tra le argomentazioni difensive che erano state portate alla Cedu dallo Stato italiano, ha affermato il legale, c'era anche quella secondo la quale alcuni mesi prima la donna aveva rimesso la querela presentata nei confronti del convivente, e poi lo aveva ripreso a vivere a casa sua. "La motivazione portata dallo Stato è inaccettabile - ha detto  Annetta - perché lo Stato ha comunque il dovere di capire cosa sta accadendo in questi casi, c'è anche un passo della sentenza della Cedu che critica questa linea di difesa". Le autorità italiane, si legge nella sentenza della Corte di Strasburgo, avrebbero dovuto adottare misure di protezione verso la donna e i suoi figli, "indipendentemente dalla presentazione di denunce e indipendentemente dal fatto che fossero state ritirate, o del cambiamento di percezione del rischio da parte della vittima".

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