Prima di partire per la prima linea i soldati vanno dal vescovo e chiedono la sua benedizione. "E io li benedico, è un mio diritto farlo, e tutta la comunità prega per loro quando sono al fronte". A parlare è monsignor Vitalii Kryvytskyi, arcivescovo latino della diocesi di Kiev-Zhytomyr, 200 mila cattolici suddivisi in 160 parrocchie, all'interno della quale ci sono anche le città 'martiri' di Bucha, Irpin, Borodjanka. Ha visto tanto dolore in questi due mesi e ha dovuto anche imparare a guidare una Chiesa che, suo malgrado, deve guardare con altri occhi alla guerra. "Non abbiamo scelto di fare la guerra, ma siamo stati costretti. Difendere il proprio Paese è una responsabilità civile, non solo militare, e tutti siamo tenuti a farlo", dice in un'intervista all'ANSA.
Nel palazzo arcivescovile di Kiev, vicino a Maidan, la piazza che è stata nel 2014 teatro delle mobilitazioni per la libertà, ci accoglie nella sobria sala al piano superiore. Al piano terra si celebra nel frattempo la Messa, con canti e preghiere, e il cuore rivolto ai parrocchiani che sono partiti armati per il Donbass.
"I giovani vengono da me e mi dicono: è il momento di andare in prima linea. E io dico ai nostri fedeli: pregate perché adesso cominciano" a combattere. "Viviamo una situazione che due mesi fa potevamo leggere nei libri e quindi facevamo grandi discussioni tra noi prelati sulla guerra, sulle armi. Non c'erano invece discussioni tra i sacerdoti che erano nell'est e che hanno visto tutta questa situazione, molto difficile, già dal 2014. Oggi anche noi abbiamo cominciato a capire che cosa significa benedire qualcuno che deve andare alla guerra per servire il suo popolo". Il pacifismo, anche quello cristiano, qui non è comprensibile perché "dobbiamo ottenere la pace giusta", insiste il vescovo.
Ricorda il passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù dice: "Tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada". "E se il Venerdì Santo avete ascoltato bene il Passio - dice ancora l'arcivescovo - c'erano i discepoli con le spade. E non servivano per sbucciare le mele. Secondo voi come dobbiamo altrimenti difenderci?". Vescovo e parroci indicano però ai militari "una linea rossa" da non oltrepassare: "Non devono torturare i russi, devono seppellire i morti. Ogni soldato è al fronte per difendere il Paese ma non per provare odio". "Ora dobbiamo rispondere con la difesa, poi ci sarà una via di riconciliazione. Ma se adesso l'esercito russo viene a prendere altri pezzettini di terra non è tempo di discutere di questo". Commentando le voci che dalla Chiesa cattolica, fuori dai confini ucraini, invocano pace e riconciliazione, il vescovo replica: "Tu non puoi perdonare al posto di un altro. Qui, purtroppo, quando parliamo di perdono non è una discussione astratta. Sarà un percorso lungo e difficile". Poi parla del fatto che "la guerra ha aumentato la fede. Ci sono nuove persone che si avvicinano alla Chiesa". I sacerdoti sono tutti rimasti sul posto, anche quelli di Irpin e Bucha ed hanno aiutato la gente anche nei giorni difficili dell'occupazione russa. La situazione ha poi accorciato i tempi per sposarsi in chiesa: ora lo possono fare anche senza la preparazione di sei mesi che era stata chiesta prima della guerra. Sospese invece nelle zone più a rischio sia le prime comunioni che le cresime che normalmente si celebrano in queste settimane sia per "ragioni di sicurezza" sia "per aspettare le famiglie che sono andate via e vorranno tornare".
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