Non poteva esserci prigione più simbolica a Mosca in cui rinchiudere i comandanti del reggimento Azov. La notizia della loro incarcerazione a Lefortovo, diffusa dall'agenzia statale Tass, riporta al centro delle cronache il penitenziario che per decenni è stato il luogo in cui venivano confinati i nemici della Russia. Dietro le sue mura è finito il fior fiore della dissidenza in epoca sovietica, dalle vittime delle Grandi Purghe del '37 allo scrittore Aleksandr Solzenicyn.
Costruito nel 1881 come carcere militare per i sottufficiali condannati per reati minori, con circa 200 celle distribuite su quattro piani, Lefortovo - così chiamato dal quartiere in cui sorge - è passato sotto la diretta gestione dei servizi di sicurezza subito dopo la rivoluzione bolscevica dell'ottobre 1917 e fino al 2005, quando fu tolto al controllo dell'Fsb, con l'eccezione del periodo tra il gennaio 1994 e l'aprile 1997, in cui era stato affidato al ministero degli Interni, ma rimane un penitenziario di massima sicurezza, soggetto a forti restrizioni su movimenti e comunicazioni rispetto ai regolamenti ordinari.
Insieme alla Lubjanka, il quartier generale del Kgb, fu il centro del potere repressivo a Mosca: spesso anticamera dei gulag, sarebbe stato utilizzato anche per torture ed esecuzioni di massa. Durante l'era Krusciov ci finì per due volte il figlio di Stalin, Vasilij, e negli Anni Settanta, sotto Breznev, le sue celle furono occupate quasi esclusivamente da dissidenti.
Solzenicyn ci rimase una sola notte nel 1974, prima dell'espulsione dall'Urss, mentre Anatolij Sharanski vi rimase 18 mesi in isolamento e nel 1997 - quando ritornò per la prima volta a Mosca in veste di ministro israeliano - chiese e ottenne di visitare con la moglie la sua cella.
Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, le sue porte si sono spalancate per i golpisti anti-perestroika e poi nell'ottobre '93 per i leader della rivolta anti-Eltsin. E per 14 mesi, con Vladimir Putin già al potere, dietro le sue sbarre è finito anche lo scrittore e dissidente Eduard Limonov.
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