Molti russi vivono un lacerante conflitto interiore: da un lato c'è la difficoltà di trovarsi a combattere una guerra che i russi stessi e non soltanto la popolazione del Donbass percepiscono come una guerra civile, combattuta contro un popolo fratello; dall'altro lato c'è una forte motivazione a sostenere il governo di Mosca e la sua invasione. A raccontare la sua esperienza su quanto accade in Ucraina è il reporter di guerra Luca Steinmann, che ha lavorato per cinque mesi "sul lato del nemico" tra Donetsk e Lugansk, con l'obiettivo dichiarato di fare informazione "indipendente senza fare propaganda per nessuna delle parti in causa".
Steinmann, classe 1989, italo-svizzero, corrispondente di guerra e analista geopolitico, è inviato in Russia e Ucraina dello Speciale TG di La7: in passato ha pubblicato reportage da Siria, Libano, Turchia, Afghanistan, Giordania, Nagorno Karabakh e Cina.
Fresco vincitore del Premiolino per i servizi dal fronte russo, Steinmann si era recato nel Donbass pochi giorni prima dello scoppio della guerra, ed era tra i pochi giornalisti occidentali in zona, cosa che ha alimentato i sospetti dei servizi di sicurezza russi di essere un "propagandista che desse informazioni all'Occidente o addirittura una spia".
"Per settimane - spiega all'ANSA - ho cercato di convincere molti a capire che ero lì solo per raccontare i fatti: non tutti lo capivano, però ho trovato anche una straordinaria umanità da parte di chi invece apprezza l'operato di chi cerca di essere obiettivo. Il momento più difficile, a livello personale e professionale, l'ho vissuto quando sono stato espulso dal territorio di Donetsk a causa della titolazione di una mia pubblicazione: sono dovuto andare via in 24 ore. Poi sono riuscito a tornare, ma l'accaduto mi ha creato problemi con i soldati locali, rendendo ancora più difficile il lavoro di convincimento fatto nel periodo precedente".
Steinmann è stato tra i primi giornalisti a entrare nella città di Mariupol assediata dai russi e, in seguito, dentro l'acciaieria di Azovstal durante i combattimenti tra le truppe cecene e il reggimento Azov. "Mi è capitato spesso - racconta - di pensare che questo fosse l'inferno in terra. È difficile pensare che le persone possano vivere senza acqua e luce, per intere settimane, senza possibilità di lavarsi, con i cadaveri dei loro cari che marcivano nei palazzi. Un'altra cosa che mi ha colpito a Mariupol è stata la ricerca dei parenti, man mano che i russi conquistavano i quartieri della città: molti ci affidavano i numeri di telefono di padri o figli chiedendoci di chiamare quando saremmo tornati a Donetsk, per capire se i loro congiunti fossero vivi".
Steinmann, che nei primi 100 giorni di guerra è andato costantemente al fronte, si sofferma poi sulle contraddizioni che ha osservato. "Mi ha stupito molto - racconta - da una parte la difficoltà dei russi di accettare la guerra contro un popolo fratello, bilanciata dall'altra parte da un forte patriottismo.
Ho sentito più persone dire, in diverse occasioni, 'io sono contro la guerra, ma in questo momento il mio paese è coinvolto e io sento di dovermi schierare dalla parte del mio paese'".
Parlando della sua esperienza professionale Steinmann ricorda di essersi reso conto spesso "di avere rischiato la pelle" solo dopo essere arrivato in albergo. A chi vorrebbe fare il suo lavoro suggerisce di fare molta attenzione. "Quando la tua voce, in zone di crisi, viene amplificata - sottolinea - questo può avere delle conseguenze sugli altri: quindi, a prescindere da uno come la pensi anche politicamente, bisogna cercare di svincolarsi da approcci esoterici o romantici nella realizzazione del lavoro. Penso che fare il giornalismo di guerra ti insegni queste cose".
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