Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dato direttive all'Esercito per trovare "tutte le forze" per difendere Bakhmut. "Ho chiesto allo Stato maggiore di trovare le forze appropriate per aiutare la difesa di Bakhmut, nessuna parte dell'Ucraina può essere abbandonata", ha detto nel consueto messaggio serale al Paese.
L'immagine della guerra è ancora Bakhmut, la città nell'Ucraina orientare da sette mesi al centro del braccio di ferro fra Kiev e Mosca e simbolo del 'corpo a corpo' con cui si combatte questo conflitto. Da Bakhmut adesso non si può nemmeno più fuggire: è qui il 'sacrificio massimo', di vite, mezzi ed energie, al punto da sollevare dubbi sull'utilità di questa strenua difesa. Ma Zelensky serra le fila e non vuole mollare. Si confronta, qualcuno riferisce che si scontra, con i generali e alla fine mette tutti d'accordo: 'Va difesa', va tenuta la 'fortezza', dice annunciando di aver chiesto all'esercito di "rafforzare" le posizioni. Sul lato opposto invece il capo del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, non usa sfumature diplomatiche nel lamentare ancora una volta la mancanza di munizioni al fronte e torna a parlare di "tradimento" da parte di Mosca per i ritardi nelle consegne. "Gli ordini sono stati dati per la consegna il 23 febbraio. Ma finora la maggior parte delle munizioni non è stata inviata", sostiene Prigozhin in un messaggio pubblicato sui social. E cita due possibili ragioni per il ritardo: "Ordinaria burocrazia o tradimento".
Il capo del gruppo paramilitare russo non è nuovo a questo tipo di messaggi a Mosca e in particolare ai vertici dell'esercito russo: già nelle scorse settimane aveva rivolto dure critiche al ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, e al capo di Stato Maggiore, Valery Gerasimov, accusandoli di aver commesso "tradimento" rifiutandosi di fornire munizioni al suo gruppo. Pochi giorni dopo, aveva annunciato che le munizioni sarebbero state finalmente consegnate. Questa volta però ammonisce: "Se Wagner si ritira ora da Bakhmut, l'intero fronte crollerà". Che il destino di Bakhmut sia ormai appeso ad un filo a questo punto non è più un mistero per nessuno: il confronto è durissimo da giorni, le persone rimaste sono poche migliaia, le vie di accesso sono quasi inesistenti. Anche Washington ha giudicato l'impresa di contenuto valore strategico. Lo stesso comandante delle forze di terra dell'esercito ucraino, il colonnello generale Oleksandr Syrsky, afferma che la battaglia ha raggiunto il massimo livello di tensione.
Ma se Bakhmut cade adesso, nonostante sia ormai rasa al suolo e dal valore strategico molto limitato, rappresenta tuttavia la prima consistente vittoria russa in circa sei mesi. Sarebbe una spinta formidabile per le forze russe, per il 'morale delle truppe', scuotendo a favore di Mosca lo stallo militare in cui lo scontro è da tempo impantanato. Un rischio che Kiev non vuole correre, almeno per ora, ordinando la resistenza ad oltranza della città, nonostante i costi altissimi. Questo non senza divergenze, sulle quali era già emersa in passato più di una vice. Le ultime indiscrezioni sono arrivate dalla Bild, che parlava di uno scontro aperto tra Zelensky e il comandante in capo delle forze armate, il generale Valery Zaluzhny. Secondo informazioni di diverse fonti della leadership ucraina, Zaluzhny qualche settimana fa aveva raccomandato di prendere in considerazione l'ipotesi di lasciare Bakhmut per ragioni tattiche. Un'idea non condivisa da Zelensky, secondo le stesse fonti citate dal giornale tedesco. Ma l'ultima parola è arrivata da un comunicato della presidenza di Kiev che ha allontanato dall'orizzonte qualsiasi divergenza: Zelensky ha avuto una riunione con il comando in capo supremo sulla situazione a Bakhmut, durante la quale il comandante in capo delle forze armate ucraine Valery Zaluzhny e il comandante del gruppo di truppe operativo-strategico Khortytsia, Oleksandr Syrsky, si sono espressi a favore del proseguimento della difesa della città. E l'esercito ucraino - si legge ancora - "rafforza" le sue posizioni a Bakhmut.