"Le ruspe le vediamo lavorare, sono tante, sentiamo il rumore da qui. Lavorano molto, c'è tanto da fare. Ogni volta guardiamo e speriamo di vederle arrivare quassù. Ma non arrivano mai". E' ancora inchiodata a oltre 2.000 metri sulle montagne dell'Atlante la famiglia italiana rimasta isolata sul passo Tizi n' Test dopo il terremoto dell'altra notte. La montagna è franata sulla strada, sia di qua che di là, rendendo inutilizzabili le auto. Ieri pomeriggio sono arrivati i mezzi di soccorso e hanno iniziato a sgomberare la carreggiata. Stanno ancora lavorando: "La strada è gravemente danneggiata - spiega nel tardo pomeriggio la donna che in questi giorni è in contatto con l'ANSA - Ancora non sappiamo quando finiranno di aggiustarla. So che la nostra ambasciata preme per accelerare i lavori. Ma le strade sono proprio danneggiate gravemente in alcuni punti. Sono due notti che non dormo e sono esausta".
La frana più importante, racconta la donna, è avvenuta a circa 8 chilometri a valle: "Stanno facendo il possibile, ma il lavoro è lungo. Forse ce la faranno per stasera, vedremo". Anche ieri sera la liberazione dalla trappola del Tizi n' Test sembrava imminente. E invece: un'altra notte in macchina, un'altra giornata di attesa attorno all'hotel ristorante 'La Belle Vue', in cui nessuno si azzarda a entrare se non per tirare fuori seggiole e coperte da mettere all'aperto. Sulle pareti rosse si sono aperte delle crepe profonde, "un cornicione è pericolante, non credo lo sia tutto l'edificio però". Nessuno s'è fatto male, fortunatamente. Né i tre italiani - la donna, il marito, il figlio quindicenne - né il gestore dell'hotel né i due turisti belgi che erano con loro. Che hanno un problema in più: la loro Peugeot era parcheggiata lungo una spalletta murata che però è crollata col sisma, ed è rimasta incastrata. I tre italiani invece avevano lasciato l'auto a nolo più in là: "Possiamo stare in uno spiazzettino, distante dalla parete della montagna che è crollata. Questo sembra essere il posto più sicuro" aggiunge la donna. Da ormai quasi 48 ore la loro vita scorre monotona ("non facciamo nulla") in piccoli riquadri riparati dal sole, che a 2.000 metri durante il giorno picchia duro: "Non ci sono grandi spazi all'ombra, a parte il portico dell'albergo. Poi pensi che è meglio non starci, allora ti alzi. Poi stai un po' in macchina". Si aspetta così. "Spesso passano a piedi, o a volte in motorino - racconta ancora - i berberi che vengono dal villaggio più vicino per andare ad aiutare chi è stato colpito dal terremoto sull'altro versante, quello di Marrakech. Hanno lasciato dei viveri anche a noi: pane, barrette di cioccolata. Una cosa fantastica". Insomma, "il giorno alla fine passa", anche se "in mattinata abbiamo avvertito una scossa, leggera. La notte è peggio: non si vede niente, non c'è luce, non c'è elettricità, c'è la paura. Dove ti giri c'è una cosa che può venirti addosso o crollare: la strada, la montagna".
La notte che si sta avvicinando, dice, "speravo di non ripassarla in macchina. O magari anche in macchina, ma in un posto diverso da questo". Una ipotesi è che se anche le ruspe finissero stasera, per motivi di prudenza e di sicurezza la gendarmerie possa dare il via libera alle auto solo domattina. Il loro viaggio era iniziato il 31 agosto, e prevedevano di andare via il 14. In mezzo si è messo il terremoto. Hanno ancora il volo prenotato a Fes: "Se faremo in tempo ad arrivare? Me lo auguro con tutto il cuore, avrei sperato anche di fare prima". Per ora si può solo attendere, e guardare sotto di sé il paesaggio silenzioso e sterminato del Tizi n' Test.
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