Il numero delle vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani degli ultimi sei giorni è salito ad almeno 1.200 morti e circa 5.600 feriti, ha detto oggi il Ministero della Sanità palestinese. Almeno 51 persone sono morte e altre 281 rimaste ferite negli attacchi aerei compiuti stanotte, secondo la stessa fonte. I raid hanno colpito Gaza, Jabaliya, Sabra, Al Zaytoun, Al Nafaq, Tal Al Hawa e Khan Younis.
Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), quasi 339.000 persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case nella Striscia di Gaza sotto assedio e bombardata dall'esercito di Israele. Il numero degli sfollati nel territorio palestinese da 2,3 milioni di abitanti a ieri sera "è aumentato di altre 75.000 persone e ha raggiunto la cifra di 338.934", ha affermato l'ufficio Onu in un comunicato pubblicato oggi. "Lo sfollamento di massa nella Striscia di Gaza continua", ha sottolineato l'Ocha spiegando che quasi 220.000 persone hanno cercato rifugio nelle scuole gestite dall'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa); circa 15.000 sono fuggite nelle scuole gestite dall'Autorità palestinese; oltre 100.000 hanno trovato rifugio presso parenti e vicini o in in altre strutture religiose e civili della città di Gaza.
Fonti palestinesi, intanto, affermano che il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) incontrerà domani il segretario di Stato americano Antony Blinken, in visita in Medio Oriente.
"Ogni membro di Hamas è un uomo morto". La minaccia arriva direttamente dal premier israeliano Benyamin Netanyahu dopo l'annuncio del varo di un governo di emergenza nazionale per guidare il Paese nella guerra contro il gruppo islamico. "Abbiamo messo da parte le differenze", ha scandito per spiegare una scelta obbligata a fronte anche di quello che sta succedendo al confine con il Libano, dove la situazione scivola sempre più verso il conflitto aperto con Hezbollah. L'obiettivo, almeno per ora, resta però Hamas a Gaza, dove si susseguono senza sosta gli attacchi dal cielo contro le strutture strategiche della fazione palestinese ma anche contro i suoi capi. Oggi è stata uccisa in un raid la famiglia di Mohammed Deif, il leader militare nella Striscia, ma sotto le bombe ci sono anche i civili. Hamas intanto ha annunciato la liberazione di tre ostaggi, una donna e i suoi due figli: "Una colona israeliana e i suoi due figli sono stati rilasciati dopo essere stati detenuti durante gli scontri", hanno detto in un comunicato le Brigate Ezzedine al-Qassam, braccio armato del gruppo islamico. Gaza tra l'altro è rimasta totalmente al buio visto che, dopo il taglio delle forniture da parte di Israele, l'unica centrale elettrica funzionante ha finito il carburante e si è spenta. Gli attacchi aerei "su scala senza precedenti" stanno martellando la Striscia e la strategia sembra volta a preparare il terreno per l'ingresso di terra - i militari si dicono "pronti" a farlo - che dovrebbe avvenire, secondo gli analisti, da nord e da sud. Gli obiettivi colpiti finora sono stati oltre 2.600. Mentre da Gaza si è infittito il lancio di razzi: secondo le stime dell'esercito israeliano, finora ne sono stati impiegati oltre 5.000. Missili sono caduti non solo nelle comunità attorno alla Striscia ma anche su Ashkelon (dove è stato centrato un ospedale) e su tutta l'area centrale di Israele, Tel Aviv compresa, nella cui area è incluso l'aeroporto internazionale Ben Gurion. I morti in Israele sono oltre 1.200 (189 soldati), con 2.700 feriti. A Gaza le vittime sono arrivate a 1.055 (inclusi 11 membri dello staff dell'Onu e 30 allievi delle scuole Unrwa), i feriti sono più di 5mila e folle di palestinesi premono al valico di Rafah con l'Egitto che resta chiuso. In questo senso la tregua sta diventando una necessità. Il Cairo avrebbe infatti discusso piani con gli Stati Uniti e altri Paesi "per fornire aiuti umanitari attraverso il confine con la Striscia con un cessate il fuoco limitato", secondo quanto ha rivelato la Reuters. Mentre il portavoce del consiglio della Sicurezza nazionale John Kirby ha affermato che gli Stati Uniti stanno "attivamente lavorando per un corridoio" che consente ai civili di fuggire. Per il momento però Israele non ha commentato in alcun modo. Su tutto pesa il destino dei circa 150 ostaggi (17 sono anche cittadini Usa e c'è un terzo italo-israeliano di cui non si hanno notizie) razziati da Hamas nei kibbutz di frontiera e portati a Gaza. L'esercito ha detto di aver contattato le famiglie di 60 prigionieri, una parte di quelli trattenuti nell'enclave palestinese. Mentre il presidente turco Erdogan ha fatto sapere che negoziati sono in corso con Hamas per ottenerne la liberazione. Ma su ogni possibilità di tregua - hanno fatto notare i commentatori in Israele - pesano anche le immagini delle atrocità commesse dai miliziani nei kibbutz di Beeri o Kfar Aza, che hanno scioccato e inviperito l'opinione pubblica. Il premier Benyamin Netanyahu lo sa benissimo e per questo ha scelto la strada del governo di emergenza nazionale: dopo il clamoroso buco della sua intelligence, ora nessuna scelta potrà essere fatta senza l'adesione di maggioranza e opposizione. Non a caso nella ristretta cellula di comando che guiderà il Paese "in una guerra lunga e dura" - per usare le parole del ministero degli Esteri - ci saranno lo stesso Netanyahu, Benny Gantz (uno dei leader dell'opposizione), il ministro della Difesa Yoav Gallant, l'ex capo di stato maggiore Gadi Eisenkot (anche lui ex opposizione) e il ministro degli Affari strategici Ron Dermer. Molti auspicano che anche l'altro capo dell'opposizione, Yair Lapid, entri al più presto nel nuovo governo. Uno dei cardini dell'accordo è che fino alla fine della guerra non si parlerà più di riforma giudiziaria, il tema che per 8 mesi ha spaccato in due Israele. Anche il super falco di estrema destra Itamar Ben Gvir ha chinato la testa, ma come ministro della Sicurezza nazionale ha invitato tutti gli israeliani ad armarsi per timore di una "rivolta araba" nelle cittadine miste del Paese. Ad offririgli un assist d'altra parte è stato l'appello alle masse arabe di Giordania, Egitto, Libano e Siria lanciato dall'ex capo di Hamas Khaled Meshal a "scendere in piazza" venerdì prossimo, primo giorno di preghiera per gli islamici dall'attacco di Hamas di sabato scorso.
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