Tutti, o quasi, sono d'accordo nel dire che l'assedio israeliano della Striscia di Gaza sta provocando sofferenze tra i civili palestinesi. Non tutti, però, convergono su come interrompere questa situazione, con alcuni Paesi che chiedono il cessate il fuoco e altri che insistono sulle pause umanitarie. La differenza non è solo lessicale.
Secondo l'Ocha, l'ufficio dell'Onu per gli affari umanitari, il cessate il fuoco è un accordo generalmente inteso come vincolante che prevede l'interruzione delle ostilità quasi sempre all'interno dell'intera area del conflitto. L'obiettivo è di consentire un dialogo tra le due parti. La misura è di natura temporanea, ma è funzionale a essere estesa per un periodo più lungo: non un dettaglio da poco, visto che nella guerra a Gaza - secondo molti pareri - favorirebbe Hamas permettendogli di riorganizzarsi. Contrari gli alleati occidentali e gli Stati Uniti che ieri hanno ribadito la loro posizione ad Amman durante un incontro tra il segretario di Stato Antony Blinken e i leader dei Paesi arabi. Favorevole, invece, il mondo arabo e anche l'Onu.
Diversa invece l'opzione delle pause umanitarie. Secondo l'Ocha si tratta di una "cessazione temporanea delle ostilità per scopi puramente umanitari", per consentire l'ingresso di aiuti ed eventualmente anche il passaggio di persone ferite o in condizioni di fragilità. A differenza del cessate il fuoco, non ha una durata estesa, può essere anche solo di poche ore ed essere limitato solo a precise zone del conflitto. Questa soluzione è spinta dagli Usa mentre gli Stati arabi la considerano insufficiente per dare un reale respiro ai palestinesi della Striscia. Israele finora si è detta contraria a entrambe le possibilità.
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