Cinquantuno anni, giornalista, attivista per i diritti delle donne in Iran, sostenitrice della campagna contro la pena di morte: Narges Mohammadi, vincitrice del premio Nobel per la Pace, è detenuta nel famigerato carcere di Evin, dove deve scontare una somma di condanne a 31 anni e dove comunque la notizia del premio ha attraversato lo sbarramento dei cancelli. La motivazione sta nella sua "lotta contro l'oppressione delle donne e l'incessante battaglia, con costi personali enormi, per favorire i diritti umani e la libertà per tutti".
Narges negli ultimi 25 anni è stata sistematicamente imprigionata e condannata dai tribunali della Repubblica islamica per le campagne contro il velo obbligatorio e la pena di morte. Ma la 'leonessa dell'Iran', come la chiamano le donne della sua terra, non ha mai ceduto alla pressione devastante della clausura forzata: proprio il 16 settembre, per ricordare l'anniversario della morte di Mahsa Amini, la 22enne curda morta mentre era sotto la custodia della polizia morale per non aver indossato l'hijab correttamente, insieme con altre tre detenute ha bruciato il velo nel cortile della prigione di Evin a Teheran, dove è costretta a coprire con il velo i suoi lunghi capelli neri. Indomabile, il mese scorso ha scritto una lettera alla France Presse: "Il movimento 'Donna, Vita, Libertà' ha accelerato il processo di democrazia, che ora è irreversibile". Mohammadi è una vera spina nel fianco degli ayatollah, soprattutto perchè è diventata un simbolo, a cominciare da quel giorno del 1998 in cui ai suoi polsi scattarono le manette per la prima volta per aver criticato il governo. Fu l'inizio del calvario.
Nell'aprile 2010 venne convocata dalla Corte rivoluzionaria islamica per l'adesione al Centro per la difesa dei Diritti Umani. Poi rilasciata con una cauzione di 50mila dollari e nuovamente arrestata qualche giorno dopo e rinchiusa nella prigione di Evin. Una volta fuori, Narges è stata nuovamente imprigionata nel luglio 2011. Quindi è tornata in carcere nel 2015. E nel 2016. Il 16 novembre 2021, in un raro periodo di libertà, mentre partecipava ad una cerimonia commemorativa nella città di Karaj in ricordo di Ebrahim Ketabdar, ucciso dalle forze dell'ordine durante le proteste del novembre 2019, le guardie islamiche l'hanno avvicinata e nuovamente arrestata. Il 15 gennaio 2022 è stata condannata a otto anni e due mesi di reclusione, due anni di esilio e 74 frustate. Amnesty International ha denunciato che all'attivista sono state negate le cure mediche, nonostante soffra di una malattia polmonare.
"Complessivamente, il regime l'ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte a un totale di 31 anni di prigione", ha detto Berit Reiss-Andersen, capo del Comitato norvegese per il Nobel a Oslo. Ma Narges non lascia il campo di battaglia, neppure da dietro le sbarre, consapevole di non avere alcuna possibilità di tornare libera. Almeno fino a quando ci saranno gli ayatollah. "Pace e diritti umani sono i miei obiettivi, sono decisa a provarci anche più di prima - disse in un videomessaggio tre anni fa -. Sono certa che con i nostri sforzi, grazie alla perseveranza e alla protezione di chi si batte con noi per i diritti umani, vinceremo".
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