Il governo britannico prese esempio
da quanto stava accadendo in Italia nel pianificare la sua
risposta iniziale all'emergenza Covid, nel marzo del 2020, ma
avrebbe dovuto imporre il primo lockdown nazionale "tre
settimane prima" di quanto fece: cosa che con il senno di poi
sarebbe stata in grado presumibilmente di prevenire la perdita
"di molte vite umane", forse migliaia. Lo ha ammesso oggi Matt
Hancock - allora ministro della Sanità nella compagine Tory di
Boris Johnson e primo esponente governativo di Londra a
dichiararlo esplicitamente - durante un'audizione di fronte alla
commissione d'inchiesta indipendente sulla pandemia istituita
nel Regno Unito.
Le parole di Hancock - considerato uno dei più convinti
assertori del lockdown nell'esecutivo durante la fase acuta
della pandemia, prima di essere travolto in seguito
politicamente da scandali e controversie personali -
rappresentano anche un riconoscimento della risposta iniziale
alla crisi dell'Italia, primo Paese europeo ad essere investito
da contagi registrati: a dispetto di qualche commento irridente
circolato all'epoca a Downing Street fra alcuni consiglieri di
BoJo nei confronti della Penisola, come poi si seppe. Il
lockdown avrebbe potuto entrare in vigore "al principio di
marzo" nel Regno, "tre settimane prima" di quanto accadde, ha
detto l'ex ministro senza giri di parole, seppur difendendo
l'operato complessivo del governo Johnson e sottolineando
"l'enorme incertezza" di quei giorni.
Hancock ha affermato che "la curva dei casi italiani" si
rivelò - a pochi giorni dall'allerta globale dell'Oms - "il
migliore" riferimento a cui ispirarsi. Non ha tuttavia negato
che a Londra vi furono esitazioni politiche sulla tempistica di
un lockdown generale: alimentate a suo dire anche da
considerazioni legali, nonché dal dibattito fra vari
epidemiologi (più decisi nel sostenere la necessità di chiudere
tutto) e alcuni esperti di comportamento sociale e umano
inseriti negli organismi consultivi (più cauti se non contrari a
un lockdown di tipo italiano).
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