C'è chi pensa che le coincidenze, nella Russia di Putin, non esistano. La morte di Alexei Navalny, proprio ora, getta infatti un'ombra sospetta e sinistra sulle elezioni presidenziali di marzo, sull'esclusione dalla corsa al Cremlino del candidato pacifista Boris Nadezhdin, e persino sull'imminente secondo anniversario della guerra in Ucraina.
La scomparsa del principe degli oppositori - trasferito di recente in un gulag siberiano di massima sicurezza dove collezionava isolamenti - segna senz'altro, qualunque ne sia la causa, dolo o incuria, il livello più basso del regime repressivo instaurato dallo zar. Il messaggio che ne consegue è logico: chi alza la testa, è perduto.
Partiamo dalle analogie. Sei anni fa Navalny veniva escluso dalle presidenziali del 2018 dopo aver, anche lui, presento un ricorso alla Corte Suprema in cui contestava la decisione della Commissione Elettorale d'invalidare la sua raccolta firme. Il paladino dell'anticorruzione reagì con la chiamata alla piazza, continuando l'ondata di proteste - abbracciate dei giovanissimi - inaugurata dopo l'inchiesta sul patrimonio occulto di Dmitry Medvedev. Un'altra epoca, a ben vedere. Ecco, ora che il conflitto impazza in Ucraina e l'argomento principale di chi si oppone al Cremlino, come singolo o come movimento, è proprio il futuro di quella guerra (fermarsi o continuare), l'avvertimento a chi potrebbe essere tentato da un percorso simile, la protesta nelle strade, magari dopo l'inevitabile responso delle urne, non potrebbe essere più chiaro.
La linea della propaganda russa è già tracciata: la morte di Navalny è scomoda per Putin, l'Occidente reagisce con dichiarazioni preconfezionate senza aspettare inchieste e approfondimenti ulteriori. Ma è un argomento futile. Qualunque cosa sia successa, Navalny frequentava le patrie galere ormai da tre anni, lo abbiamo visto emaciato e provato nel fisico più volte, denunciava vessazioni (col suo stile sarcastico) da tempo immemore. Il Cremlino, come minimo, è indirettamente responsabile di quanto è successo e se davvero aveva a cuore la sua salute (anche solo politicamente) aveva tutti gli strumenti a disposizione per garantirla. Non è stato così. Putin ormai ha tagliato i ponti con l'Occidente, non è più interessato ad accordi di scambio sulla falsa riga di quando scarcerò l'oligarca Mikhail Khodorkovsky per rifarsi la verginità in vista delle Olimpiadi invernali di Sochi e della gara per accaparrarsi i mondiali di calcio del 2018. Usa e Ue oggi piangono Navalny ma lo zar se ne frega, non c'è più nulla da trattare.
L'oppositore venuto dal blog è l'ultimo dei grandi dissidenti russi, l'unico che è stato in grado di raccogliere il testimone di Boris Nemtsov, a sua volta trucidato a pistolettate nel 2015 sotto le mura del Cremlino. L'ultima piroetta fu il rientro in Russia dalla Germania, dove fu curato dopo il tentativo di avvelenamento col Novichok, da cui si salvò miracolosamente. Una scelta che va letta col desiderio di Navalny di non passare agli occhi dei russi come una marionetta dell'Occidente, per mostrar loro di saper soffrire, appunto come i dissidenti sovietici che navigarono con orgoglio l'arcipelago gulag. La verità è che Navalny, da vivo, sarebbe sempre stato un pericolo per Putin.
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