Un giudice federale ha respinto la richiesta di Donald Trump di ritardare i termini di pagamento degli 83 milioni di dollari che è stato condannato a pagare come risarcimento alla scrittrice E Jean Carroll in un processo per diffamazione, per aver negato nel 2019 - quando era presidente - una aggressione sessuale di quasi 30 anni fa in un lussuoso grande magazzino della Grande Mela. La difesa del legale aveva chiesto un rinvio sostenendo che in appello la sanzione potrebbe essere ridotta o cancellata. Trump ha depositato quindi una cauzione di 91,6 milioni, mentre attende l'appello della sentenza.
Trump condannato a pagare 300mila sterline in Gran Bretagna
Donald Trump è stato condannato a pagare 300.000 sterline (circa 350mila euro) in costi legali a una società fondata dall'ex 007 britannico Christopher Steele, autore del controverso dossier sul Russiagate, che l'ex presidente Usa aveva citato in giudizio senza successo. Lo ripota il Guardian, che cita documenti del tribunale pubblicati ieri.
Secondo l'avvocato di Trump, il dossier della Orbis Business Intelligence di Steele - reso pubblico nel 2017 - conteneva affermazioni false, "scioccanti e scandalose" che avevano danneggiato la reputazione del suo assistito. Tuttavia, lo scorso primo febbraio la giustizia del Regno Unito aveva respinto per mancanza di elementi sufficienti l'azione legale avviata da Trump.
Trump aveva presentato la sua istanza contro la Orbis, ma secondo la giudice dell'Alta Corte di Londra - Karen Steyn - non c'erano "motivi convincenti" per avviare un processo. Allo stesso modo la giudice aveva respinto la richiesta di risarcimento presentata dell'ex presidente, affermando che quest'ultimo aveva "scelto di lasciar trascorrere molti anni" dopo la pubblicazione del dossier, prima di avviare l'azione
legale nei tribunali del Regno.
Respinta la richiesta di archiviare il caso delle carte segrete
La cattiva condotta di Donald Trump con le carte segrete trattenute nel suo resort a Mar-a-Lago "è andata molto oltre" rispetto a quella di altre figure politiche da lui evocate in vicende apparentemente simili, compresi Joe Biden, Hillary e Bill Clinton, Mike Pence e James Comey. Lo afferma il procuratore speciale Jack Smith respingendo la richiesta del tycoon di archiviare il caso proclamandosi vittima di un procedimento vendicativo e selettivo.
Nessuna delle altre figure citate, spiega, "si presume abbia trattenuto intenzionalmente una vasta quantità di materiale altamente sensibile e confidenziale e abbia ripetutamente cercato di ostacolarne il legittimo ritorno e si sia impegnato in un piano articolato di inganno e di ostruzione". "Non c'è nessuno che si trovi in una situazione simile", sottolinea Smith.
Altre differenze tra i casi di Trump e il suo successore includono il volume di documenti recanti segni di classificazione - 88 nell'indagine su Biden, 337 in quella su tycoon - e la loro importanza. Le carte più in discussione nell'indagine su Biden hanno ormai quasi 15 anni, mentre i file recuperati nell'indagine sul suo predecessore sono molto più recenti e riguardano informazioni sui programmi nucleari statunitensi e sulle capacità militari e di difesa degli Stati Uniti e di paesi stranieri.
E sebbene alcuni documenti di Biden siano stati trovati in un garage, tali rischi sono "sminuiti rispetto a quelli" di conservare materiale riservato in un "club sociale attivo" con centinaia di membri che ha ospitato matrimoni, raccolte fondi e altri eventi con decine di migliaia di ospiti.
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