La resa dei conti, annunciata, deflagra di prima mattina con tutto il suo carico di pena e di frustrazione. "Da allora porto con me quel giorno nero, giorno dopo giorno, notte dopo notte. Porterò il dolore con me per sempre". Il generale Aharon Haliva, capo dell'intelligence militare israeliana il 7 ottobre, affida il mea culpa per l'attacco di Hamas e le sue dimissioni a una lettera nella quale non si fa sconti e parla esplicitamente di "fallimento", anche se rinnova l'impegno a restare al suo posto fino alla nomina di un sostituto.
"Farò di tutto per la sconfitta di Hamas e di coloro che vogliono farci del male" scrive il generale, da 38 anni nell'Idf, che ammette: "La divisione di intelligence sotto il mio comando non è stata all'altezza del compito che ci era stato affidato". Dimissioni ampiamente previste che tuttavia pesano su un esercito che al 199esimo giorno di guerra e dopo oltre 34 mila morti in gran parte civili a Gaza non è ancora riuscito a smantellare del tutto la struttura militare e logistica di Hamas e a catturare Yahya Sinwar, l'inafferrabile capo del gruppo nella Striscia. E oggi c'è stata un'altra dimissione eccellente, quella del capo del comando centrale Yehuda Fuchs, che lascerà l'incarico ad agosto senza precisare i motivi della sua decisione.
Troppo poco per trarre conclusioni sullo stato dei vertici dell'Idf, ma è un fatto che sull'esercito israeliano sono puntati i riflettori internazionali. Sono arrivati a 210 i corpi esumati da fosse comuni all'interno dell'ospedale di Khan Younis. Persone uccise durante l'assedio dell'ospedale il mese scorso e nel corso dell'irruzione dell'esercito nella struttura stessa. Terroristi, sfollati, malati, forse non si saprà mai.
E si addensano ombre anche sulle accuse mosse dallo Stato ebraico ai dipendenti dell'Unrwa nella Striscia di Gaza di essere uomini o fiancheggiatori di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche che hanno portato molti Paesi donatori a tagliare i finanziamenti all'Agenzia nonostante le enormi necessità di 2,3 milioni di persone. Israele "deve ancora fornire prove a sostegno" delle sue affermazioni, ha affermato l'indagine indipendente guidata dall'ex ministra degli Esteri francese Catherine Colonna e commissionata dalle Nazioni Unite. Non solo.
L'Unrwa aveva regolarmente fornito a Israele elenchi dei suoi dipendenti da sottoporre a controllo, ma "il governo israeliano non ha informato l'Unrwa di alcuna preoccupazione relativa al personale dell'Unrwa basato in queste liste del personale dal 2011", afferma il rapporto secondo il quale l'agenzia è "insostituibile e indispensabile" per i palestinesi di tutta la regione. Tesi respinte dal ministero degli Esteri a Gerusalemme, secondo cui il report "ignora l'enorme portata dell'infiltrazione di Hamas nell'Unrwa a Gaza".
Intanto sulla Striscia si allunga l'ombra dell'offensiva su Rafah. Secondo il Wall Street Journal, Israele si sta preparando a evacuare nelle prossime due o tre settimane i civili a Khan Yunis e in altre aree dove prevede di allestire tendopoli. E continuano i fermenti nelle stanze della politica. Netanyahu ha evitato di irritare gli alleati americani cedendo alle pressioni e abbandonando i piani di un contrattacco molto più ampio contro l'Iran di quello poi effettivamente attuato. Evitata così un ulteriore escalation nell'area, il focus rimane per ora sul teatro interno. Ma le dimissioni del capo dell'intelligence sono state colte al volo dal leader dell'opposizione Yair Lapid per attaccare il premier Benyamin Netanyahu. "Il ritiro del capo dell'intelligence militare è giustificato e onorevole. Sarebbe stato opportuno che il primo ministro Netanyahu facesse lo stesso", ha attaccato Lapid sui social citando direttamente la dichiarazione di dimissioni di Haliva per il quale "insieme all'autorità derivano pesanti responsabilità". Il premier, però, tira dritto per la sua strada.
E, in occasione della Pasqua ebraica, in un post su X scrive: "I nostri cuori sono pesanti per la difficile situazione dei 133 israeliani che rimangono prigionieri nei tunnel del terrore di Hamas", ignorando le centinaia di persone che protestano davanti alla sua residenza a Cesarea e chiedono la liberazione degli ostaggi.
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