La minaccia di Joe Biden di chiudere i rubinetti delle armi offensive per Israele potrebbe avere risvolti profondamente concreti: secondo uno studio dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) citato dalla Bbc, gli Stati Uniti sono infatti di gran lunga il maggiore fornitore di armi per lo Stato ebraico, rappresentando il 69% delle importazioni israeliane di armi convenzionali tra il 2019 e il 2023. Segue la Germania, con il 30% dell'import di armi di Israele. Al terzo posto, seppure con una percentuale molto più esigua - il 4,7% nel periodo 2013-2023, sceso allo 0,9% nel periodo 2019-2023 - c'è l'Italia, dove il tema dell'invio di armamenti a Israele ha provocato un acceso dibattito politico.
A marzo, un'inchiesta pubblicata dal mensile Altreconomia sulla base di dati Istat ha accusato il governo di aver proseguito l'export di "armi e munizioni" verso Israele per 2,1 milioni di euro nell'ultimo trimestre del 2023, in piena offensiva su Gaza, su un totale di 13,7 milioni di euro per tutto lo scorso anno. Il governo ha respinto ogni accusa di foraggiare il conflitto: il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ricordato che in Italia "c'è una legge che vieta di vendere armi ai Paesi in guerra". E a marzo, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha sottolineato in Senato come "dopo il 7 ottobre non siano state concesse nuove autorizzazioni per il trasferimento di armi in Israele" e che "le licenze autorizzate prima del 7 ottobre erano già state in gran parte utilizzate", mentre su quelle non ancora utilizzate "l'Unità per le autorizzazioni dei materiali d'armamento ha già fatto verifiche caso per caso e non riguardano materiali che possono essere impiegati con ricadute sui civili a Gaza".
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