Cruciale vertice di famiglia a Camp David per Joe Biden. Quello che era stato programmato da tempo come una lieta occasione per una foto di gruppo del clan e un weekend spensierato con figli e nipoti nella residenza presidenziale di campagna in vista della festa dell'indipendenza del 4 luglio, si è trasformato in un difficile momento di discussione e riflessione sul suo futuro dopo la debacle nel duello tv con Donald Trump.
Nonostante la proclamata volontà di non gettare la spugna e il rinnovato appoggio dei leader dem, il commander in chief deve fare i conti con le crescenti pressioni esterne ed interne: i numerosi appelli di autorevoli media per il suo ritiro, i timori (per ora in gran parte espressi privatamente) di una fetta del partito di perdere non solo la Casa Bianca ma anche il Congresso, i dubbi di molti donatori - da Hollywood alla Silicon Valley - anche se finora nessuno ha chiuso i rubinetti (oltre 27 milioni di dollari raccolti tra il giorno del dibattito e venerdì sera). Il tempo stringe, mancano meno di due mesi alla convention di Chicago e il 9 luglio Biden non vuole apparire un'anatra zoppa davanti ai leader europei per il summit Nato di Washington, dove tutti gli occhi e le telecamere saranno puntati nuovamente su di lui, pronti a scrutare ogni suo passo falso.
A decidere il destino del presidente - e del Paese - sarà quella che Axios definisce l'oligarchia della Casa Bianca, ossia la moglie Jill, la sorella più giovane Valerie e il l'85/enne Ted Kaufman, amico e consigliere da una vita, oltre ad piccolo gruppo di fidati consiglieri della West Wing. Quasi un affare di famiglia, dove la voce più influente è quella della first lady, finora sorda ad ogni critica: "Joe non è solo la persona giusta per questo lavoro, ma è l'unica persona per questo lavoro", ha ripetuto nelle raccolte fondi a Ny. Non è escluso che, in privato, il vecchio Joe consulti anche due ex-presidenti democratici amici, Obama e Clinton. Biden, secondo fonti a lui vicine citate da Nbc, è stato descritto come umiliato, sfiduciato e dolorosamente consapevole che le sue immagini al dibattito sopravviveranno oltre la sua presidenza, insieme a una performance da bocciare. La situazione "è un disastro", ha detto una delle fonti.
Alla luce dello choc di Atlanta in seno all'Asinello si sono create tre correnti di pensiero: quelli che difenderanno Biden in qualsiasi circostanza, quelli che sono pronti a scaricarlo e quelli che aspettano di vedere cosa farà - e quali saranno i numeri nei sondaggi dei prossimi giorni - prima di pronunciare un giudizio. È il terzo segmento che gli insider dem stanno monitorando da vicino.
Anche i donatori si sono divisi in tre fazioni: la prima ritiene che premere per far ritirare Biden sia un fallimento in partenza autodistruttivo; la seconda (compresi i due fundraiser dem più attivi di Hollywood, Jeffrey Katzenberg e Haim Saban) è attendista e vuole che i leader del partito considerino misure drastiche solo dopo aver esaminato meglio il fallout del dibattito; la terza è una svolta immediata senza sprecare tempo. Biden deve anche valutare se abbandonare la corsa non sia peggio che continuarla. E' quello che teme la sua campagna, come rivela un memo trapelato sui media: "Se si ritirasse ciò porterebbe a settimane di caos, di torte in faccia e ad un sacco di candidati che arrancano in una battaglia brutale sul palco della convention, tutto questo mentre Donald Trump avrebbe il tempo per parlare agli elettori americani incontestato". Come ha fatto nel dibattito, dove ha sparato una trentina di menzogne.
Intanto il tycoon attende lunedì - lo stesso giorno in cui il suo ex stratega alla Casa Bianca Steve Bannon entrerà in carcere per oltraggio al Congresso - la sentenza della corte suprema sull'immunità presidenziale come scudo nei processi per l'assalto al Capitol, le carte segrete di Mar-a-Lago e il tentato ribaltamento del voto in Georgia. Qualunque sia la decisione, che arriva dopo cinque mesi, la corte a maggioranza conservatrice lo ha già aiutato ad evitare un qualsiasi dibattimento prima dell'election day del 5 novembre. Resta l'incognita di dover sfidare un rivale diverso da Biden, se i dem lo sostituiranno con un candidato "più giovane, più energico e di esperienza", come ha ammonito l'ex sfidante repubblicana Nikky Haley, quasi autocandidandosi a sua vice.
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