Più impopolare di Joe Biden nei sondaggi ma meglio di lui nel duello con Donald Trump. Indisciplinata ma talentuosa. Fa poco gioco di squadra ma è una bandiera su temi come l'aborto, i diritti civili, la diversità. Kamala Harris resta un giano bifronte, un enigma o un "diamante grezzo", come l'ha definita Gil Duran, che fu suo portavoce dieci anni fa, quando lei era procuratrice capo della California e veniva vista come l'astro nascente dei dem, una sorta di Obama al femminile.
"Abbiamo sempre visto in lei una donna ambiziosa e molto dotata, capace di brillare. Ma non avevamo mai pensato che potesse arrivare al vertice per la sua mancanza di disciplina, l'incapacità di focalizzarsi su ciò che conta davvero", ha confidato.
Tra i suoi punti deboli ci sono la scarsa capacità organizzativa e l'aggressività con lo staff. Lo dimostrano il flop delle sue primarie presidenziali nel 2020, affidate alla sorella, e le tensioni con i suoi collaboratori alla Casa Bianca, con un turnover anomalo.
I suoi ex dicono che tratta lo staff come se fosse un pubblico ministero, anche se lei replica di essere semplicemente molto esigente. Nella campagna del 2020 mise così a disagio la sua allora chief of staff Karine Jean-Pierre che quest'ultima poi passò al press team della Casa Bianca, fino a diventare la portavoce di Biden. Come vice presidente non è mai uscita dall'ombra del boss e non ha mai bucato lo schermo, se non per un sorriso abbagliante a volte un po' sghangerato, tanto che Trump l'ha soprannominata 'Laffin Kamala' e la destra la sbeffeggia sui social.
Ha fama di fare discorsi banali, senza mai uscire dai 'talking point', divagando senza andare al sodo, con risposte prolisse e inconcludenti. E' scivolata inoltre in più di qualche gaffe: dal poco empatico monito agli immigrati a non venire negli Usa al costoso shopping di piatti e pentolame (made in France) per Thanksgiving nel suo viaggio diplomatico nel 2021 a Parigi, nonostante la crisi che attanagliava molti americani.
Ma Harris ha anche molti punti di forza. Innanzitutto l'esperienza: prima procuratrice generale donna e nera della California (progressista ma col pugno duro sui crimini, anche quelli meno violenti), senatrice capace di torchiare candidati repubblicani dal pedigree controverso, e infine vicepresidente nota in tutto il mondo, dove ha visitato decine di Paesi e conosciuto numerosi leader. Ampio il suo portafoglio, anche se non ha brillato nei dossier più difficili, come quello dell'immigrazione.
Tra i pro c'è sicuramente il fatto che incarna e promuove la diversità e ha il sostegno della comunità black: per metà afroamericana (padre economista giamaicano) e per metà indiana (madre professoressa universitaria impegnata nella ricerca contro il cancro), potrebbe essere il primo presidente donna e di colore dopo aver infranto il soffitto di cristallo come vice. Harris poi è diventata una bandiera per le donne, soprattutto sul tema cruciale dell'aborto e dei diritti riproduttivi. Ma anche per i diritti civili, compresi quelli della comunità Lgbtq. Da mesi si sta sforzando, con un certo successo, di mostrarsi più presidenziale ma anche più aggressiva contro Trump e il suo nuovo vice J.D. Vance. Le prossime settimane aiuteranno a svelare l'enigma Kamala.
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