La Cina scende in campo e muove la sua diplomazia sull'Ucraina e sul conflitto tra Israele e Hamas. Il ministro degli Esteri ucraino Kuleba è in visita a Pechino mentre, sempre nella capitale cinese, Hamas e Fatah hanno trovato un'improbabile intesa per il futuro della Striscia di Gaza con uno sviluppo a sorpresa che ha scatenato l'ira di Israele e lo sbigottimento di Europa e Stati Uniti.
L'uno-due di Pechino, al di là degli immediati risultati concreti, purtroppo prossimi allo zero, ha un valore politico importante e manda un messaggio preciso all'Occidente. La Cina vuole provare a guidare il dialogo per trovare una soluzione negoziale alle due guerre che hanno stravolto gli equilibri geopolitici negli ultimi due anni. O, almeno, è quello che vuol provare a far credere ad una comunità internazionale sempre più priva di punti di riferimento.
In realtà la mossa di Xi rientra nella costruzione di una nuova dimensione della postura internazionale di Pechino. Prima di tutto la tessitura di nuove alleanze e rapporti per costruire un'alternativa al 'sistema occidentale' in un mondo che sempre più vede contrapporsi il fronte delle democrazie e quello delle autocrazie. In secondo luogo, la Cina vuole dare una risposta alle accuse dell'Occidente che ha chiesto chiaramente a Pechino di smettere di aiutare la Russia nella guerra in Ucraina dal punto di vista politico e da quello militare con commerci di prodotti a 'doppio suo' sia per il settore civile sia per quello della difesa.
Dai vertici del G7 di Borgo Egnazia e della Nato di Washington sono giunti segnali molto chiari. "La Cina, in quanto membro del Consiglio di sicurezza dell'Onu, interrompa ogni sostegno materiale e politico alla Russia nella guerra contro l'Ucraina", hanno detto gli alleati della Nato sottolineando che "la Cina continua a costituire una minaccia per l'Europa e la sicurezza". Identica la posizione dei Sette grandi, i quali hanno specificato che "il G7 estenderà la portata delle sanzioni per colpire le imprese e le banche, anche in Cina, che stanno aiutando la Russia ad aggirare le sanzioni sui beni e le tecnologie usate nella produzione di armi".
Gli incontri di Kuleba a Pechino servono insomma per mostrare la faccia pacifica della Cina e la ricerca del bandolo di una matassa particolarmente ingarbugliata. La Cina aveva già provato in passato ad avanzare una proposta di pace in 12 punti che era stata rispedita al mittente perché molto ambigua. Come ormai è chiaro a tutti, la Russia non intende cedere i territori conquistati e anzi chiede, incredibilmente, un ulteriore ritiro agli ucraini i quali, a loro volta - alla ricerca della 'pace giusta' appoggiata da Usa e Ue - rivogliono indietro tutti i loro territori. Difficile parlare di pace partendo da queste basi. Tuttavia la decisione di Kiev di provare ad esplorare la 'strada cinese' alla pace potrebbe aprire nuovi spiragli, magari con un nuova conferenza di pace e nel momento in cui entrambi gli eserciti sembrano provati da un guerra sanguinosa. Ma, francamente, il pessimismo della ragione, in questa fase, sembra prevalere nettamente sull'ottimismo della volontà.
Ancora più clamorosa è la questione che riguarda Gaza. Al di là del clamoroso passo indietro compiuto da Abu Mazen, la proposta sponsorizzata da Pechino non ha alcuna possibilità di realizzarsi. Israele vuole distruggere Hamas e nessuno in Occidente, e anche in diversi Stati arabi, permetterebbe un dopo-guerra a Gaza con la presenza dell'organizzazione considerata terroristica da Usa e Ue. La mossa di Pechino sembra quindi più un tentativo di allargare l'influenza cinese per contrastare gli inviti pressanti dell'Occidente. Basti pensare a quella che fu la risposta di Pechino alle richieste del G7 e della Nato: "La Cina non ha intenzione di accettare alcuna sanzione unilaterale illegale, la normale cooperazione economica e commerciale tra Cina e Russia non sarà interrotta da alcun soggetto terzo".
La strada per un vero dialogo internazionale per la pace sembra ancora molto lontana.
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