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'Io drogata e stuprata come una bambola di pezza'

'Io drogata e stuprata come una bambola di pezza'

Per la prima volta parla la vittima al processo di Avignone

PARIGI, 05 settembre 2024, 20:55

Redazione ANSA

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Il processo di Avignone, per la prima volta parla la vittima © ANSA/AFP

Il processo di Avignone, per la prima volta parla la vittima © ANSA/AFP

"Usata come una bambola di pezza": calma e determinata, dinanzi al marito carnefice e agli altri 51 uomini accusati di averla stuprata per dieci anni, Gisèle Pelicot, ha raccontato dinanzi a cinque magistrati il calvario di cui è rimasta vittima per dieci anni, nel quarto giorno di processo al tribunale di Avignone. Per un decennio, la donna di 72 anni è stata drogata dal marito che poi la faceva violentare da sconosciuti, senza contropartita, assistendo e riprendendo le violenze. Un incubo durato fino al 20 novembre 2020, quando i poliziotti di Carpentras, nel dipartimento di Vaucluse, la convocarono in commissariato.

Agli inquirenti che la interrogarono la donna, ancora ignara, confermò di essere effettivamente la moglie di Dominique Pelicot, un "tipo chic, un marito super", senza sospettare nulla. Poi le vennero mostrate quelle immagini. "Mi sono vista inerte, a letto, mentre mi violentavano. Scene da horror. Usata come una bambola di pezza", ha detto in aula, sotto lo sguardo attonito della figlia e dei due figli presenti in tribunale. Quel giorno, aggiunge, "mi è crollato il mondo addosso, cinquanta anni di vita" coniugale.

Gisèle Pelicot si rifiutò di guardare i filmati in possesso degli inquirenti. Lo ha fatto solo nel maggio 2024, con l'approssimarsi del processo, su consiglio dei suoi legali. "Uno più atroce dell'altro", prosegue, descrivendo "scene di barbarie, di stupri. Sono stata sacrificata sull'altare del vizio".

Le forze dell'ordine hanno rinvenuto in totale circa 4.000 tra foto e video, meticolosamente conservati e catalogati dal marito. Immagini di circa 200 stupri subiti in dieci anni. Nell'agghiacciante testimonianza di 90 minuti, la donna ha raccontato, tra l'altro, dei suoi misteriosi problemi di salute di cui non capiva la causa. Per anni, ha detto, aveva avuto strani vuoti di memoria e altri problemi di salute e pensava che potesse avere l'Alzheimer. "Parlo per ogni donna che è stata drogata senza saperlo: sto riprendendo il controllo della mia vita per denunciare i rischi della sottomissione chimica". E ha insistito affinché il processo si svolga pubblicamente per mettere in guardia tutte le donne.

Fra gli imputati, di tutte le età, le categorie e i tipi di persone ci sono pompieri, artigiani, infermieri, giornalisti, guardie carcerarie. Celibi, sposati, divorziati. La maggior parte di loro ha fatto una sola volta l'esperienza di violentare Gisèle P. priva di conoscenza, altri sono tornati fino a sei volte e nella maggioranza dei casi non portavano nemmeno il preservativo. Il marito della vittima ha testimoniato che "tutti sapevano" che la moglie era drogata a sua insaputa. Sono stati recensiti 92 atti di violenza dal 2011, quando la coppia viveva ancora nella regione di Parigi, fino al 2020, quando ormai si era trasferita a Mazan, una cittadina di 6.000 abitanti nel sud della Francia.

Ogni volta, il marito, ex dipendente del gigante dell'energia francese Edf, somministrava alla moglie un potente ansiolitico.

Ai convenuti, istruzioni precise per non svegliare la consorte: né profumi né odore di sigaretta, scaldarsi le mani sotto l'acqua calda. La donna non si è resa conto di niente e ha appreso tutto quello che le era capitato a 68 anni. E del tutto episodicamente: il marito si era infatti tradito facendosi sorprendere in un centro commerciale a filmare sotto le gonne delle clienti. Gli inquirenti, spulciando nel suo computer, hanno scoperto le foto e i video della moglie, in stato di incoscienza, violentata dagli sconosciuti. L'uomo risulta coinvolto in altri casi giudiziari, come un assassinio con stupro a Parigi nel 1991 in cui ha sempre negato ogni addebito e un tentato stupro nel 1999. Che ha confessato, ma soltanto dopo essere stato incastrato dalla prova del Dna. Dopo la testimonianza la famiglia ha fatto sapere che si poteva pubblicare anche il cognome della donna, finora chiamata 'Gisèle P.. Il verdetto è atteso per il 20 dicembre.

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