Sulla base degli storici rapporti di potere in Medio Oriente e nel Golfo, le leadership dei governi a Riad, Abu Dhabi e Amman non hanno dubbi nello scegliere oggi l'asse israelo-statunitense rispetto a quello guidato dall'Iran e di cui fanno parte Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen. E sono pronti a fare scudo, mettendo in campo una vera e propria cintura difensiva intorno a Israele, al fianco degli Stati Uniti, della Francia e della Gran Bretagna, in caso di un'eventuale massiccia azione militare da parte dell'Iran e dei suoi alleati. Ne sono convinti gli analisi e gli osservatori regionali ricordando lo stato di allerta, in cui si trovano ormai da settimane gli eserciti di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Giordania, assieme ai contingenti francesi, statunitensi e britannici ospitati nelle basi del Golfo e del Medio Oriente.
Il livello di attenzione si è alzato ai massimi livelli dopo l'annuncio dell'uccisione del leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, nel massiccio bombardamento israeliano su Beirut. L'Iran che giura vendetta ha evocato anche la possibilità di "inviare truppe in Libano" a sostegno del suo alleato libanese.
Ma la Repubblica islamica non è riuscita finora a far atterrare all'aeroporto di Beirut nemmeno un aereo civile. E ha annullato ogni volo verso il Libano dopo che Israele ha ribadito di essere in grado di controllare, a distanza, lo scalo aereo internazionale libanese. Nella notte, raid aerei attribuiti alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, hanno preso di mira postazioni di gruppi di combattenti filo-iraniani al confine tra Siria e Iraq, proprio lungo il corridoio terrestre che dovrebbe consentire a Teheran di spostare truppe da est verso il Mediterraneo. Già lo scorso aprile, quando l'Iran aveva compiuto il suo primo attacco diretto nella storia contro Israele, i sistemi di difesa aerea e le aviazioni di questi tre paesi, assieme alle forze americane, francesi e britanniche, si erano mobilitate per proteggere lo Stato ebraico.
Come sottolinea Urayb Rantaui del Centro di studi politici di Amman, la Giordania è totalmente dipendente dagli Stati Uniti e Israele. Mentre l'Arabia Saudita, in attesa di normalizzare i suoi rapporti con lo Stato ebraico, rimane nell'orbita americana sperando di rafforzare il legame di sicurezza e militare con Washington. Dal canto loro, gli Emirati Arabi Uniti, che hanno già da quattro anni riconosciuto Israele con gli Accordi di Abramo del 2020, hanno più volte condiviso con l'alleato americano informazioni di sicurezza riguardanti presunti piani di guerra dell'Iran. In base agli storici rapporti di potere in Medio Oriente e nel Golfo, le leadership dei governi a Riad, Abu Dhabi e Amman non hanno dubbi nello scegliere oggi l'asse israelo-statunitense rispetto a quello guidato dall'Iran e di cui fanno parte Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen.
La faglia del confronto tra le due trincee contrapposte da decenni non si muove necessariamente soltanto lungo linee confessionali ("sunniti contro sciiti"): lo sciismo khomeinista dell'Iran si è alleato con la fratellanza musulmana sunnita di Hamas, e gli Hezbollah duodecimani cooperano strettamente con gli zaiditi Houthi pur esprimendo due dottrine sciite rivali fra loro. L'integralismo religioso dei sauditi non trova spazio ad Amman e ad Abu Dhabi. Queste alleanza sono invece il frutto di rapporti di forza geopolitici ben sedimentati nel tempo e che difficilmente possono essere alterati.
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