I volti sono scuri, i sorrisi tirati. Le rivolte interne solo apparentemente sedate. L'accordo che potrebbe dare il via libera a Teresa Ribera e Raffaele Fitto segna un passo avanti cruciale perché la Commissione Ursula von der Leyen bis possa partire, ma poggia su dei piedi di argilla.
L'intesa tra Popolari, Socialisti e Liberali ha prodotto un documento programmatico comune di due paginette scarse e una sfilza di malumori interni che emergeranno già nel voto della Plenaria alla Commissione nel suo complesso. Un voto dal quale potrebbero sfilarsi i Verdi ma che potrebbe essere blindato dal via libera di una parte dei Conservatori: quello di Fdi e delle delegazioni ceca e belga.
A tarda sera, quando a un passo dal traguardo l'intesa è tornata ad arenarsi e le valutazioni di Ribera e Fitto vengono temporaneamente sospese, si ha la sensazione di una maggioranza che, comunque vada, poggerà su piedi di argilla. I rapporti tra Popolari e Socialisti appaiono ormai travolti da una crisi di fiducia reciproca. E l'apertura a Fitto continua a non convincere una fetta di europeisti. Sulla nomina a vice presidente esecutivo dell'italiano ad imporsi è stata innanzitutto von der Leyen. Fonti parlamentari raccontano che la presidente sia rimasta particolarmente scottata dal blitz dello scorso giugno, quando al Consiglio europeo informale sulle nomine Giorgia Meloni fu esclusa dal tavolo. Il rapporto tra von der Leyen e la premier è profondo e, osservano le stesse fonti, poggia anche sul concetto di leadership femminile tanto caro all'ex ministra tedesca.
Per von der Leyen l'Italia non poteva restare fuori dai top jobs all'interno della Commissione. Idea che ha trovato sulla stessa linea Manfred Weber, ma per motivi sensibilmente diversi.
L'intenzione del leader del Ppe, nonostante il patto di coalizione, non è cambiata e poggia su due pilastri: l'inclusione di una parte del gruppo Ecr nell'azione della maggioranza in Ue e il possibile asse, se e quando necessario, con le destre europee, Patrioti inclusi. Del resto, spiegano fonti del Ppe, l'accordo scritto di coalizione non preclude formalmente alcun allargamento a destra della maggioranza. "Non ne esistono di precostituite in Europa", avvertiva il meloniano Nicola Procaccini a trattativa ancora in corso.
La conseguenza, tuttavia, potrebbe essere quella di una instabilità costante. I Verdi, che avevano votato von der Leyen a luglio, dal Ppe non sono stati mai considerati parte della maggioranza. Non hanno votato Fitto e sono destinati a spaccarsi nel voto sulla Commissione del 27. All'interno dei Socialisti è in atto una mini-rivolta delle delegazioni tedesca, francese e olandese che fa apparire meno salda perfino la leadership di Iratxe Garcia Perez. Tutte e tre le delegazioni, per motivi diversi e legati innanzitutto ai contesti nazionali, sono convinte che non si può allargare la maggioranza ad una forza "post-fascista", ovvero a Fdi. "L'importante è riaccendere i motori della maggioranza europeista di luglio poi sappiamo che ogni giorno sarà battaglia", spiegano fonti socialiste dando il senso di quella che è solo una tregua armata con il Ppe.
Tra i popolari i polacchi e i greci non hanno visto di buon grado l'abbraccio di Weber alla trincea anti-Ribera del Partido Popular. "Non abbiamo fatto una bella figura", è il refrain dei più scontenti nel Ppe. A tarda sera, del resto si navigava ancora a vista. Fuori infuriava una tempesta di neve. Dentro si attendeva un via libera finale tra i sorrisi ironici degli eurodeputati. La battaglia è solo rimandata a mercoledì prossimo, in occasione del voto finale della Plenaria.
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