Un accordo per la tregua e il rilascio di ostaggi appare "più vicino che mai", anche se nella Striscia di Gaza si continua a morire. E se la presenza di una delegazione di negoziatori israeliani è confermata a Doha, dove si sta mettendo a punto l'accordo da firmare poi al Cairo, il premier Benyamin Netanyahu è apparso a sorpresa sul Monte Hermon, nella fetta di Siria ex terra di nessuno recentemente rioccupata dall'Idf per cautelarsi contro i nuovi padroni di Damasco, mentre il suo ufficio ha smentito le indiscrezioni diffuse dalla Reuters su un suo viaggio al Cairo, che avrebbe significato la svolta.
"Un accordo non è affatto dietro l'angolo", anzi, richiederà ancora "settimane": a smorzare l'ottimismo che è nell'aria su un'imminente intesa fra Israele e Hamas per una tregua a Gaza e lo scambio fra ostaggi e prigionieri sono alcune fonti israeliane citate dal sito in ebraico Walla e riprese dal Times of Israel. Una di queste critica le esternazioni positive del ministro Katz, che "non aiutano certo i negoziati e sono fuorvianti per la gente, dandole false speranze". Un'altra fonte ancora, riportata da Channel 12, afferma che ci sono ancora "disaccordi importanti su materie sostanziali che richiederanno tempo per essere superati".
Svolta che però sembra comunque nell'aria, tanto che domani nella capitale egiziana è atteso il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen, invitato "con urgenza" dal rais egiziano al-Sisi. Guerra e (provvisoria) pace dunque appese a un filo. Alla fumata bianca mostrano di credere gli Stati Uniti, che però stemperano con un "cauto ottimismo".
Ieri il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che oggi è apparso sul monte Hermon con Netanyahu, aveva certificato che "non siamo mai stati così vicini ad un'intesa sugli ostaggi da quella precedentemente raggiunta" del novembre 2023.
Si è mostrata ottimista la stessa Hamas, che ha definito i colloqui di Doha "seri e positivi" e ha fatto sapere di aver accettato una nuova proposta dei mediatori per una pausa di 60 giorni nei combattimenti e lo scambio di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi, ma ha messo in guardia Israele dall'alzare ancora l'asticella all'ultimo momento, come accaduto in precedenti occasioni.
Stavolta Netanyhau sembrerebbe però più propenso a concludere, offrendo una sponda all'auspicio espresso dall'amico e alleato Donald Trump che gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas siano già tornati a casa quando, il 20 gennaio, s'insedierà alla Casa Bianca, minacciando di "scatenare l'inferno" se non fosse così.
Sul tavolo di Doha l'opzione che avrebbe riscosso il consenso della maggior parte della riottosa compagine governativa israeliana sarebbe quella di una tregua già in vigore per l'inizio della festa ebraica di Hannukah, che quest'anno coincide con il Natale, il 25 dicembre, con uno stop alle operazioni militari nella Striscia di Gaza per almeno 60 giorni e la liberazione di ostaggi israeliani il cui numero è evidentemente in fase di definizione, come lo è anche il numero di prigionieri palestinesi da scarcerare contestualmente. I riflettori dalla capitale del Qatar, dove hanno trattato le delegazioni mediate da Qatar, Egitto, Turchia e Stati Uniti, sono ora puntati sul Cairo.
Un nodo ancora da sciogliere - hanno fatto sapere fonti egiziane citate da Reuters - sono le garanzie chieste da Hamas sul fatto che qualsiasi tregua a breve conduca poi a un vero e proprio cessate il fuoco. Nel solito tira e molla a distanza, il ministro Katz, quasi a smentire quest'ultima istanza, ha dichiarato che "una volta sconfitto il potere militare e il potere dominante di Hamas a Gaza, Israele controllerà la sicurezza nella Striscia con piena libertà di agire, proprio come in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr)".
A dispetto delle esternazioni contrarie, le fonti israeliane, che sottolineano come Netanyahu non sia in Egitto "per il momento", comunicano la sensazione che "si fanno progressi" e che le prossime ore potrebbero essere "decisive".
A Gaza intanto il fragore della guerra continua senza sosta. Nelle prime ore di oggi almeno 12 persone sono morte in bombardamenti dell'Idf che hanno colpito una casa nel quartiere di Daraj, a est di Gaza City, e nel campo profughi di Shati, a nord-ovest del capoluogo.
Sul versante siriano, Israele incassa per ora una rassicurazione di Abu Mohammed al-Jolani, il capo dei ribelli che hanno conquistato la Siria, sul fatto che il Paese "non verrà utilizzato" come base per attacchi contro Israele, purché l'Idf metta fine alle sue incursioni in territorio siriano. Ma Netanyahu, dal versante siriano del monte Hermon, guardando la pianura siriana e ricordando quando si trovava in quel luogo da soldato, 53 anni fa, ha indicato che Israele rimarrà sull'altura "finché non verrà trovato un altro accordo che ne garantisca la sicurezza".
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