Mike Johnson rieletto speaker della Camera Usa al primo voto, ma con un colpo di scena. Quando ormai tutti i media avevano decretato il flop dello scrutinio, due dei tre repubblicani che non lo avevano sostenuto hanno cambiato idea in extremis, pare dopo una telefonata di Donald Trump. Conteggio finale: 218 per lui, 215 per il candidato dem Hakeem Jeffries e un voto "altro".
Positivo quindi il primo banco di prova per il presidente eletto e il partito repubblicano nel primo giorno di insediamento del nuovo Congresso (il 119mo), che il Grand Old Party controlla insieme alla Casa Bianca. Lo speaker uscente Mike Johnson si era ricandidato dicendosi fiducioso di farcela al primo scrutinio. Dalla sua aveva l'endorsement del tycoon, che aveva profetizzando "un voto di successo" e che nel giorno della verità gli aveva fatto gli auguri su Truth: "Buona fortuna allo speaker Mike Johnson, un uomo in gamba e di grande capacità, che è molto vicino ad avere un sostegno del 100%. Una vittoria per Mike oggi sarà una grande vittoria per il partito repubblicano, e l'ennesimo riconoscimento delle elezioni presidenziali più importanti da 129 anni!! Una grande affermazione per il movimento Maga!".
Johnson aveva "pieno sostegno" anche da Elon Musk. Ma la strada appariva in salita per un partito che ha la maggioranza più risicata in quasi 100 anni, ossia dalla Grande Depressione: 220 seggi contro i 215 dei democratici. I repubblicani inoltre ne hanno già perso uno (Matt Gaetz, dimessosi dopo essersi ritirato dalla nomina a ministro della Giustizia per scandali sessuali), mentre un altro deputato, Thomas Massie, aveva detto alla vigilia che non intendeva sostenere Johnson. Quest'ultimo quindi non poteva perdere neppure un altro voto del suo partito per arrivare al quorum di 218, nel caso - poi verificatosi - che i dem fossero granitici.
Ma i falchi della destra non avevano rivelato come si sarebbero comportati, tenendo il candidato sulle spine. La votazione era un test sulla capacità del tycoon di tenere insieme le varie fazioni del Grand Old Party in una maggioranza fragilissima.
Prima di Natale, The Donald aveva subito un rovescio quando una fronda di 35 deputati Gop aveva bocciato la sua richiesta di aumentare il tetto del debito nel provvedimento per evitare lo shutdown. Uno slittamento dell'elezione dello speaker avrebbe potuto anche ritardare la certificazione della sua vittoria elettorale il 6 gennaio, cui sarà istituzionalmente preposta non senza imbarazzo la sua ex sfidante Kamala Harris.
Johnson dovrà ora fare i conti con altre due perdite dopo l'insediamento di Trump il 20 gennaio: i deputati Mike Waltz ed Elise Stefanik, che entreranno a far parte della nuova amministrazione rispettivamente come consigliere per la sicurezza nazionale e ambasciatrice all'Onu (ruolo che, a differenza del primo, richiede la conferma del Senato). Per elezioni suppletive occorreranno mesi. Quindi lo speaker avrà bisogno temporaneamente dell'appoggio dem per far passare i provvedimenti.
Difficile far decollare subito l'agenda di Trump, dal taglio delle tasse alla stretta sull'immigrazione. In questo contesto ogni singolo deputato potrebbe diventare l'ago della bilancia acquistando un'influenza sproporzionata. Nel frattempo i repubblicani della Camera hanno deciso di aumentare da uno a nove deputati la soglia necessaria per estromettere lo speaker dopo la storica rimozione di Kevin McCarthy durante il mandato precedente, che ha sprofondato la Camera nell'incertezza per settimane, con un indecoroso psicodramma repubblicano di 22 giorni. Uno scenario che questa volta non si è ripetuto.
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