Un'intesa in tre fasi, le prime due da 42 giorni ciascuna, con il cessate il fuoco e il rilascio dei primi ostaggi già dal primo giorno. L'accordo tra Hamas e Israele siglato a Doha dovrebbe prevedere anche un graduale ritiro dell'Idf dalla Striscia.
Hamas, secondo le prime bozze che circolano sui media, dovrebbe rilasciare subito i primi tre rapiti, "entro domenica prossima": nella prima fase dell'intesa sono 33 gli ostaggi (bambini, donne, anziani e malati) che dovrebbero essere liberati gradualmente. Dopo i primi tre nel primo giorno della tregua, 4 dovrebbero poter tornare a casa una settimana dopo, altri tre in quella successiva e altrettanti al 21mo giorno.
Nell'ultima settimana della prima fase è prevista poi la liberazione di 14 rapiti. Tra i 33 ostaggi dovrebbero esserci anche 5 soldatesse israeliane in cambio di 250 prigionieri palestinesi, in rapporto di una a 50. Hamas e i suoi alleati detengono ancora 94 persone portate via da Israele il 7 ottobre: almeno 34 di loro sono morte, secondo il governo israeliano, anche se si teme che il numero reale sia più alto. Nelle mani di Hamas ci sono poi altri quattro ostaggi, catturati dal 2014, almeno due dei quali sono morti.
Tra i 94 ostaggi presi a ottobre 2023, ci sono 81 uomini e 13 donne, secondo l'ufficio del premier israeliano. Due hanno meno di 5 anni (si tratterebbe dei fratellini Bibas, la cui sorte è sconosciuta) mentre 84 sono israeliani, otto thailandesi, uno nepalese e uno tanzaniano.
Israele avrebbe accettato di rilasciare almeno mille prigionieri palestinesi (potrebbe arrivare fino a 1.650 secondo alcune fonti e dipenderà dagli ostaggi liberati) durante la prima fase, tra cui circa 190 che hanno scontato condanne di 15 anni (un centinaio quelli all'ergastolo). Chi è accusato di aver ucciso israeliani non sarà rilasciato in Cisgiordania ma nella Striscia di Gaza o all'estero (si parla di Qatar e Turchia), in base ad accordi con i Paesi stranieri. Non sarà invece liberato Marwan Barghouti, il leader della prima Intifada condannato a vita. Il governo Netanyahu avrebbe anche respinto la richiesta di Hamas di riavere il corpo di Yahya Sinwar, il leader di Hamas ucciso ad ottobre scorso, mentre avrebbe accettato di rilasciare un numero maggiore di prigionieri palestinesi per gli ostaggi vivi rispetto ai corpi. Nella prima fase sarebbe esclusa anche la liberazione di miliziani che hanno partecipato all'attacco al Nova Festival e ai kibbutz in cui furono uccise circa 1.200 persone.
L'accordo si articolerebbe in tre fasi. Al 16mo giorno dall'intesa inizierebbero i colloqui per la definizione della successive: nella seconda, sempre di 42 giorni, dovrebbero essere rilasciati tutti i rimanenti ostaggi maschi e le forze israeliane dovrebbero ritirarsi quasi completamente dalla Striscia. E, ancora, dovrebbe essere affrontato il nodo della restituzione delle salme, la cui consegna sarebbe prevista nella terza fase in cui dovrebbe essere definito anche un piano di ricostruzione e di una nuova struttura di governo sotto la supervisione di Egitto, Qatar e Nazioni Unite.
Per quanto riguarda il delicato nodo della presenza di Israele nella Striscia, l'accordo prevedrebbe un graduale ritiro dai centri abitati durante la prima fase mentre ai civili palestinesi di Gaza sarà consentito di tornare nel nord con un ombrello di non meglio precisati "accordi di sicurezza" (possibile un passaggio adiacente alla Salah al-Din Road, monitorato da una macchina a raggi X). L'Idf dovrebbe rimanere lungo il confine tra Gaza e l'Egitto, noto come Corridoio di Filadelfia, che separa la Striscia dal Sinai egiziano, mantenendo una zona cuscinetto di circa 800 metri lungo i confini orientali e settentrionali durante la prima fase. Le forze israeliane dovrebbero poi ritirarsi gradualmente anche dal corridoio di Netzarim che divide la Striscia in due e conduce fino al Mediterraneo.
L'attuazione dell'accordo sarà garantita da Qatar, Egitto e Stati Uniti e prevede, secondo alcune fonti, un meccanismo di monitoraggio internazionale. Progressi sarebbero stati raggiunti anche per un regolare flusso di aiuti umanitari alla Striscia, stremata da 15 mesi di guerra, con un aumento dei convogli (si parla di 600 camion al giorno, di cui 300 diretti al Nord) delle organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite.
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