"Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente. Saranno rilasciati a breve. Grazie!". Con questo post a caratteri cubitali su Truth poco dopo mezzogiorno in America, le 18 in Italia, Donald Trump si è precipitato ad annunciare l'intesa su Gaza dopo le indiscrezioni diffuse qualche minuto prima dai media internazionali.
L'obiettivo era prendersene subito il merito, benché non si sia ancora insediato alla Casa Bianca, bruciando tutti sul tempo: da Joe Biden, che ha inseguito questo risultato per oltre un anno e che si vede quasi strappare il trofeo nel giorno del discorso d'addio alla nazione, al premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, pronto per una conferenza stampa a Doha dopo una dichiarazione congiunta dei tre Paesi negoziatori (Usa-Qatar-Egitto).
È stato lo stesso Trump a sostenere sulla sua piattaforma social che "questo epico accordo di cessate il fuoco avrebbe potuto realizzarsi solo in seguito alla nostra storica vittoria di novembre, poiché ha segnalato al mondo intero che la mia amministrazione avrebbe cercato la pace e negoziato accordi per garantire la sicurezza di tutti gli americani e dei nostri alleati". "Abbiamo ottenuto così tanto senza nemmeno essere alla Casa Bianca. Immaginate tutte le cose meravigliose che accadranno quando tornerò alla Casa Bianca e la mia amministrazione sarà pienamente confermata, così da poter garantire altre vittorie per gli Usa", si è vantato il tycoon, accreditandosi come l'artefice di questo successo diplomatico.
Non solo. Il tycoon ha già dettato la linea muscolare sul Medio Oriente: "Con questo accordo in atto, il mio team per la sicurezza nazionale, attraverso gli sforzi dell'inviato speciale in Medio Oriente Steve Witkoff, continuerà a lavorare a stretto contatto con Israele e i nostri alleati per garantire che Gaza non diventi mai più un rifugio sicuro per i terroristi.
Continueremo a promuovere la pace attraverso la forza in tutta la regione, mentre sfruttiamo lo slancio di questo cessate il fuoco per espandere ulteriormente gli storici accordi di Abramo".
Del resto appare innegabile che la spinta forse decisiva all'accordo sia frutto delle pressioni di The Donald sul premier israeliano Benyamin Netanyahu e i suoi ripetuti ultimatum ad Hamas, con la minaccia di scatenare "l'inferno" in Medio Oriente se non avesse liberato gli ostaggi prima del suo insediamento.
Ma dietro c'è un lungo, paziente e infaticabile lavoro diplomatico dell'amministrazione di Biden, che ha messo a dura prova i rapporti tra Usa e Israele e che i democratici hanno pagato in termini elettorali, con proteste di manifestanti pro Gaza che inseguono anche oggi i loro leader accusandoli di "genocidio".
Ora l'attuale commander in chief rischia di veder ridotti i suoi meriti su questo fronte in quell'eredità difesa a spada tratta nel suo congedo alla nazione in diretta tv. Un discorso che mette fine a mezzo secolo di carriera politica e ad una presidenza chiusa non come lui avrebbe voluto, a partire dal ritiro forzato della ricandidatura e dalla vittoria di un rivale che considera un pericolo per la democrazia. "Ho corso per la presidenza perché credevo che fosse in gioco l'anima dell'America. Era in gioco la vera natura di quello che siamo.
Ed è ancora così", ha ribadito in una lettera agli americani prima di rivendicare le conquiste della sua presidenza, dove però l'accordo per Gaza appare un trofeo da condividere almeno in due.
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