- DUBAI, 09 AGO - Il maggiore ostacolo al rientro in patria
di milioni di rifugiati siriani è la presenza di infrastrutture
devastate da oltre un decennio di guerra civile. Lo ha
dichiarato il presidente siriano Bashar al-Assad in
un'intervista oggi alla tv Sky News di Arabia. Da quando è
iniziato nel 2011 con la repressione delle proteste pacifiche
antigovernative, il conflitto siriano ha provocato oltre 500.000
vittime e milioni di sfollati, attirando potenze straniere e
jihadisti, con gran parte del nord del Paese che rimane fuori
controllo. Rispondendo alla domanda su quale considera la
maggior sfida per il ritorno dei rifugiati, Assad ha risposto:
"Logisticamente, infrastrutture che i terroristi hanno
distrutto". "Abbiamo avviato un dialogo generale" con gli
organismi umanitari delle Nazioni Unite "su progetti di
ritorno", finanziamenti e richieste delle Nazioni Unite, ha
aggiunto Assad, citando la mancanza di acqua, elettricità,
scuole e strutture sanitarie e definendo "terroristi" tutti
coloro che si oppongono al suo governo.
La Siria è stata riammessa nella Lega Araba a maggio, ponendo
fine a più di un decennio di isolamento regionale durante il
quale alcune potenze hanno scommesso sulla fine del regime.
Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto ospitano almeno 5,5
milioni di rifugiati, secondo le Nazioni Unite, e i rimpatri dei
rifugiati sono stati una questione chiave nelle recenti
discussioni regionali. Ma poiché i Paesi hanno aumentato le
richieste di ritorno dei rifugiati, i gruppi per i diritti umani
hanno messo in guardia contro i rimpatri forzati e sollevato
timori per la sicurezza, segnalando che alcuni rimpatriati hanno
subito arresti o persecuzioni: tutte accuse che Assad ha negato
nell'intervista.
I Paesi della regione stanno anche cercando la cooperazione
di Damasco su questioni come la lotta al traffico di droga.
"Quando c'è la guerra e lo stato è indebolito", il traffico di
droga fiorisce e "questo è normale", ha detto Assad. "I Paesi
che hanno contribuito a creare il caos in Siria ne hanno la
responsabilità, non lo Stato siriano", ha aggiunto.
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