Almeno nove morti e una
settantina di feriti è il bilancio del crollo di un palco
durante una manifestazione di chiusura di campagna elettorale
per il voto del 2 giugno in Messico, che vedrà il rinnovo di
20.708 cariche e la scelta del nuovo presidente. Una tragedia
che ha colpito il comune di San Pedro Garza Garcia, nello stato
di Nuevo León e che allunga la scia di sangue delle ultime
settimane, con trenta candidati assassinati e numerosi altri
feriti.
L'incidente è accaduto durante il comizio di Lorenia
Canavati, candidata a sindaco del Movimento Cittadino: la
struttura del palco allestito nel campo da baseball El Obispo è
piombata al suolo, lasciando intrappolate diverse persone.
Le perizie delle ultime ore indicano che la causa
probabile sia stato il fortissimo vento che ha colpito la
struttura. Un evento che mette in luce un altro fattore, oltre
la violenza politica e il traffico della droga, che sta
complicando notevolmente la situazione in Messico: il
cambiamento climatico. Nell'ottobre del 2023, l'uragano Otis ha
devastato la città di Acapulco con un'intensità mai osservata in
quella zona della costa del Pacifico. Anche le ondate di caldo e
di siccità che stanno colpendo il territorio in questi giorni
hanno raggiunto livelli senza precedenti.
Sebbene in ambito elettorale l'attenzione dei media sia
focalizzata sui tre aspiranti alla presidenza della Repubblica
—Claudia Sheinbaum della coalizione di governo, Xóchitl Gálvez
dell'alleanza dell'opposizione e Jorge Álvarez Máynez del
Movimento Cittadino— la maggior parte delle cariche in lizza
sono per il posto di presidente del consiglio comunale.
È nelle presidenze del consiglio comunale "dove la
criminalità organizzata cerca di stabilire o mantenere il
controllo", spiega Sandra Ley, coordinatrice del Programma di
Sicurezza dell'organizzazione México Evalúa, autrice della
ricerca.
Ma la violenza nell'unico Paese latino del Nord America non
è un fenomeno recente. Il traffico di droga e la tratta di
esseri umani legati ai movimenti migratori segnano da decenni le
cronache di molti dei suoi 32 Stati e si sono aggravati in
seguito al tentativo del governo di dichiarare la guerra ai
cartelli durante i sei anni di mandato di Felipe Calderón
(2006-2012).
Il risultato è stato tragico: la pace precaria che esisteva
tra i gruppi criminali che controllano l'immenso territorio
messicano si è sgretolata e il numero delle morti violente nel
Paese è passato da 60mila durante il governo di Vicente Fox
(2000-2006) a 122mila alla fine dell'amministrazione Calderón.
La tendenza è continuata durante il periodo di Enrique Peña
Nieto (150mila morti tra il 2012 e il 2018) e si è impennata
negli ultimi sei anni, arrivando a 180mila morti durante la
presidenza di Andrés Manuel López Obrador.
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