l divieto deciso dalla Cina sulle
importazioni dei prodotti ittici provenienti dal Giappone
costringe il governo di Tokyo a studiare ulteriori misure per
sostenere l'industria della pesca del Paese, la cui reputazione
è già fortemente penalizzata nell'immaginario collettivo. Subito
dopo l'avvio delle operazioni per il rilascio dell'acqua
contaminata, nella giornata di giovedì le autorità doganali
cinesi hanno annunciato la sospensione totale del commercio,
sorprendendo i produttori del Sol Levante.
Nel 2022 le esportazioni di prodotti marini verso Pechino
hanno raggiunto un valore di 160 miliardi di yen, pari a poco
più di 1 miliardo di euro, pari al 40% circa del totale delle
spedizioni estere in termini di valore. L'industria delle
capesante è uno dei settori più a rischio, secondo un'indagine
governativa, perché attraverso canali di lavorazione nella
stessa Cina i pesci vengono esportati verso paesi terzi, inclusi
gli Stati Uniti. A questo riguardo il governo di Tokyo sta
valutando modi per creare strutture di produzione in Giappone e
stabilire nuovi canali di vendita. Un fondo del valore di oltre
mezzo miliardo di euro è stato approvato per affrontare i danni
all'immagine causati dal rilascio delle acque; i fondi,
tuttavia, non coprono al momento le imprese che operano nei
processi di trasformazione dell'industria della pesca. La
società di ricerca Teikoku Databank stima che almeno 727 aziende
giapponesi che esportano prodotti ittici in Cina, direttamente o
indirettamente, saranno colpite dal recente divieto. Oltre la
metà di queste generavano fino alla metà del proprio fatturato
in Cina, mentre 164 erano principalmente impegnate nella
trasformazione o vendita di prodotti ittici verso il Paese
vicino.
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