Atmosfera surreale nei palazzi parigini il lunedì dopo il big bang della politica francese.
Marine Le Pen "ha parcheggiato" fuori dal portone del potere, come scrive oggi un editorialista, ed aspetta con pazienza. Dentro, la febbrile attività di chi - in trincea con la calcolatrice - cerca di evitare il tracollo fra una settimana.
Ma il re spodestato, Emmanuel Macron, secondo chi gli sta vicino è già proiettato al dopo, alla coabitazione con Jordan Bardella: uno scenario che soltanto 20 giorni fa sapeva di fantapolitica e che è stato reso possibile solo dal harakiri dello stesso presidente.
In un colpo solo, quello che veniva definito Iupiter, novello Napoleone, padrone del tempo, ha perso tutto: la maggioranza (deputati dimezzati), il governo, la solidità del partito, lo zoccolo elettorale. Cerca di salvare il salvabile, freneticamente, come ha fatto nominando senza indugi il commissario europeo Thierry Breton, conscio che fra qualche giorno gli sarebbe stato impedito.
Tra Macron e la coabitazione con Jordan Bardella al governo - Le Monde evoca persino l'immagine dei due seduti accanto il 14 luglio per la Festa nazionale - restano soltanto le barricate erette dal Nuovo Fronte Popolare. La coalizione della gauche dovrebbe essere parte del Front Républicain, lo schieramento anti ultradestra che ha funzionato per decenni nella Quinta Repubblica. E invece, al grido di Jean-Luc Mélenchon, "non un voto al Rassemblement National, ritiriamo sempre e ovunque i candidati arrivati al terzo posto", lo spirito del Front Populaire vive soltanto nello slancio della gauche. A destra, fra i Républicains orfani del presidente Eric Ciotti che è andato a vincere con Le Pen, di fare fronte contro il Rn non se ne parla neppure. Nel campo di Ensemble, ovvero della maggioranza di governo già diventata minoranza, si fa una fatica terribile a pronunciare quelle parole fatidiche: "sempre e ovunque". Anzi, nessuno le ha ancora dette, a cominciare da Macron. Il quale, ai ministri riuniti all'Eliseo, ha ricordato che "non bisogna sbagliarsi", che oggi "è l'estrema destra che sta per arrivare alle massime funzioni dello Stato, nessun altro". Sembra un orientamento preciso, un invito a schierarsi contro con chiarezza. Ma poi mancano le parole indispensabili: ritirarsi "sempre e ovunque".
La maggioranza macroniana diffida della sinistra de La France Insoumise, senza arrivare all'equidistanza fra Le Pen e Mélenchon proclamata apertamente dal ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, e dall'ex premier, Edouard Philippe. Tutto il resto è estremamente fluido e confuso, il Fronte Repubblicano ancora non c'è e restano poche ore per riportarlo in vita.
Soltanto con una desistenza comune - destra moderata, centro, sinistra - si può scongiurare, stando ai calcoli, che il Rn arrivi alla fatidica quota di 289 seggi necessaria per la maggioranza assoluta. Ma Macron sta preparando la coabitazione anche perché ha compreso che il partito di Marine Le Pen ha ormai già un piede a Matignon, il palazzo sede del primo ministro, che è adiacente all'ambasciata italiana in rue de Varenne. Se nei giorni scorsi, a più riprese, Jordan Bardella aveva chiesto agli elettori "la maggioranza assoluta" per consentire a lui e al Rn di "cambiare il Paese" (arrivando a dire "senza maggioranza assoluta non andrò a fare l'assistente del presidente"), oggi, con il Rn che se non raggiungerà quota 289 ci andrà molto vicino - gli studi parlano di 15 seggi in meno, una quota di deputati non impossibile da trovare, di volta in volta - l'atteggiamento di Bardella è cambiato: "Bisognerà vedere il modo in cui l'Assemblée Nationale si organizza - ha detto Sébastien Chenu, uno dei dirigenti più vicini a Le Pen - ma ci assumeremo le nostre responsabilità davanti ai francesi".
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