Scaduto il presunto ultimatum di Israele a Hezbollah per il ritiro dei combattenti filo-iraniani lontano dalla linea del fronte con l'Alta Galilea entro il 15 marzo e dopo più di sei mesi di guerra a relativa bassa intensità tra il Partito di Dio e lo Stato ebraico, le parti non sembrano intenzionate ad avviare un conflitto su larga scala. E questo perché i rischi di una deflagrazione regionale sono considerati, sia da Israele che dagli Hezbollah, maggiori dei benefici di una ipotetica vittoria militare.
Sulle basi di questa equazione fondata sulla deterrenza reciproca, la leadership del movimento armato libanese, alleato dell'Iran e di Hamas, e il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, in parte sostenuto dagli Stati Uniti, per ora prendono tempo. Ma il protrarsi di questa guerra di logoramento - affermano analisti e fonti diplomatiche in Libano - sembra per ora favorire più gli Hezbollah che lo Stato ebraico.
Nei giorni scorsi alcuni media internazionali e libanesi avevano riferito di un presunto ultimatum dato da Israele al movimento armato libanese perché accettasse, entro il 15 marzo, la proposta di accordo statunitense. Questa prevedeva, di fatto, l'allontanamento dei combattenti libanesi filo-iraniani dalla linea di demarcazione tra Libano e Israele. Altrimenti, scrivevano le fonti, "Israele è pronto a un'escalation militare che può condurre a una guerra su larga scala".
Dall'8 ottobre a oggi gli attacchi israeliani hanno ucciso circa 250 combattenti Hezbollah e una cinquantina di civili in Libano, mentre gli attacchi dal Libano contro Israele hanno ucciso una decina di soldati israeliani e sei civili.
Due giorni fa, il leader di Hezbollah Hasan Nasrallah, aveva parlato a sorpresa, rivolgendosi al cosiddetto 'fronte interno libanese', sempre più insofferente per le devastanti conseguenze dei bombardamenti israeliani nel sud e in altre aree del paese.
"Dobbiamo avere pazienza e sopportare", aveva detto Nasrallah. "Ci vuole tempo. La società israeliana dà segni di stanchezza", aveva affermato, riferendosi al fatto che i continui lanci di razzi e droni di Hezbollah in Alta Galilea hanno di fatto congelato l'attività socio-economica di una delle regioni chiave di Israele.
"Dobbiamo perseverare e resistere", aveva incalzato: "Siamo in una posizione di forza mentre Israele è indebolito". Alcuni analisti affermano che proprio questo apparente indebolimento di Israele - il cui governo è indubbiamente esposto a pressioni interne da parte di decine di migliaia di sfollati nel nord oltre che alle pressioni da parte dei familiari degli ostaggi di Gaza - potrebbe indurre Netanyahu a lanciare un'offensiva contro Hezbollah e contro il Libano.
"Questa volta non si limiterebbero a colpire le roccaforti di Hezbollah, ma raderebbero al suolo Beirut", affermano alcuni osservatori libanesi. E insistono: per Hezbollah è importante rispettare le attuali regole di ingaggio e proseguire la guerra di logoramento. Il termine "guerra di logoramento" è stato evocato nelle ultime ore anche dal ministro degli esteri uscente libanese, Abdallah Bou Habib, che lo ha però usato in riferimento allo Stato ebraico: "La guerra di logoramento condotta da Israele tramite i suoi droni si protrarrà ancora a lungo", ha affermato. E ha aggiunto che "Israele non intraprenderà un'offensiva terrestre contro il Libano poiché è consapevole che un tale conflitto non sarebbe certo una passeggiata".
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