C'è un odio profondo e assoluto verso gli afroamericani dietro l'ultima strage negli Stati Uniti proprio nei giorni in cui si commemorano i 60 anni dallo storico discorso di Martin Luther King, 'I have a dream'. Un sogno di un'America giusta e anti-razzista che, anche alla luce della più recente tragedia, sembra ancora molto lontano. Il bilancio dell'ennesima sparatoria di massa negli Stati Uniti è di tre morti, due uomini e una donna afroamericani, freddati sabato mattina in un negozio della catena Dollar General a Jacksonville, in Florida, nel giorno del quinto anniversario di un'altra strage nella stessa città. Erano la 52enne Angela Michelle Carr, il 19enne Joseph Laguerre Jr. e il 29enne Jarrald De'Shawn Gallion. Il numero dei morti poteva essere molto più alto poiché il ventunenne bianco, Ryan Christopher Palmeter, che si è presentato nel negozio con un giubbotto antiproiettile e armato di un un fucile d'assalto AR-15 con delle svastiche e una pistola Glock, puntava al vicino campus della Edward Waters University, una piccola università storicamente afroamericana. Per fortuna, non volendo fornire un documento di identità, è stato allontanato dalla guardie all'ingresso. E allora, carico d'odio, è tornato indietro ed ha aperto il fuoco nel negozio, per poi rivolgere la pistola contro di sé e suicidarsi. La motivazione del razzismo è stata subito chiara alla polizia come ha spiegato lo sceriffo T.K. Waters. Il killer ha lasciato un manifesto sul suo computer nel quale dichiarava di "odiare i n....i e di volerli eliminare. Il suo obiettivo era una comunità specifica, i neri", ha detto lo sceriffo afroamericano costretto, per trasparenza, ad usare il termine dispregiativo contenuto nel messaggio. "E' la prima l'ultima volta che pronuncerò questa parola", ha aggiunto con la voce rotta dalla commozione. La polizia ha anche mostrato il frammento di un video della strage nel quale si vede il killer entrare nel discount, con un cappellino da baseball, dei guanti e una mascherina per coprire il volto. Quando aveva già iniziato la carneficina, il ventunenne ha inviato un messaggio ai genitori, con i quali viveva vicino al luogo della sparatoria, chiedendo loro di aprire il suo computer e diffondere il suo manifesto razzista su media e social media. Sul laptop c'era anche una lettera di addio di cui non sono stati diffusi i contenuti. Le armi, ha precisato la polizia, sono state acquistate illegalmente, ha agito da solo e "non c'erano segnali che potesse compiere una strage". E però ci si chiede come sia stato possibile che un giovane segnalato per violenza domestica a soli 15 anni, nel 2016, e ricoverato in un ospedale psichiatrico l'anno dopo sia riuscito a comprare un fucile d'assalto e una pistola. La stessa domanda che l'America si è posta dopo un'altra strage motivata dall'odio razziale, a maggio dell'anno scorso, quando il suprematista bianco 19enne uccise 10 afroamericani in un supermercato a Buffalo. La stessa domanda che l'America si pone ogni volta che in casa, in una scuola, in un centro commerciale, in un luogo di culto, al cinema o per strada, le armi stroncano vite innocenti: dall'inizio dell'anno ci sono state oltre 470 sparatorie di massa, più di mille quelle "involontarie", centinaia i morti e i feriti. Solo un mese fa, nel weekend del 4 luglio, ci sono state 22 stragi, 20 morti e 126 feriti. Nonostante i continui appelli di Joe Biden al Congresso per vietare la vendita almeno delle "armi da guerra" come gli Ar-15, in un Paese in cui ne circolano 390 milioni e un abitante su dieci dichiara di possederne una, le leggi non riescono a passare. Troppo forte l'opposizione dei sostenitori, soprattutto repubblicani, del secondo emendamento della Costituzione Usa e di quei politici foraggiati dalla potentissima lobby della Nra, inclusi Donald Trump e tutti gli altri candidati alla presidenza per il Grand old party nel 2024. Pur condannando la strage di Jacksonville, il governatore della Florida, Ron DeSantis, non ha voluto ammettere che il problema sono le armi bensì ha indicato nella malattia mentale la causa di questa piaga tutta americana. Così l'altro candidato, Vivek Ramaswamy - finito nella bufera in questi giorni per aver definito una deputata dem afroamericana del Massachussetts una "versione moderna del Ku Klux Klan "- che ha accusato "i media e l'establishment di gettare benzina sul fuoco del razzismo" negando persino l'esistenza del suprematismo bianco.
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