Il giallo della lettera del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan alla commissione Ue, con la quale l'Italia chiede il rinvio del pareggio di bilancio al 2016, non sembra avere allarmato i mercati finanziari. Tasso Btp ai minimi, piazza Affari brillante, spread a quota 160: sono dati che descrivono un panorama molto positivo per il governo, quasi una scommessa sulle prospettive del sistema Italia.
C'è da chiedersi dunque se abbia fatto bene il ministero del Tesoro a conservare un low profile nella richiesta italiana, che sostanzialmente si traduce in una proposta di allentamento di quei vincoli europei criticati da tutto l'arco delle forze politiche, o se piuttosto abbia ragione l'opposizione (da Forza Italia al M5S e a Sel) ad esigere che il documento Padoan sia portato immediatamente a conoscenza del Parlamento.
La partita è estremamente delicata: da un lato si tratta di non presentare a Bruxelles un'ipotesi che abbia il sapore del fatto compiuto (con il rischio di un commissariamento, dicono i centristi), dall'altro di trovare un equilibrio nelle coperture che Matteo Renzi assicura essere pronte da giorni. E di illustrare alle Camere un documento finanziario convincente: non a caso i deputati renziani hanno presentato un documento di ''forte sostegno'' all'esecutivo, con 120 firme, in implicita polemica con la minoranza democratica che non vede nel Def reali segni di svolta ma solo una manovra preelettorale.
Il Def (che poi è in pratica la vecchia Finanziaria) approda così a Montecitorio in un clima di tensione latente. Forza Italia non poteva chiedere di meglio per mostrare il suo volto ''di lotta e di governo'': il patto del Nazareno, fanno sapere i berlusconiani, non va confuso con l'appoggio alla manovra (che non c'è). Come in un domino, Renato Brunetta mette insieme il rinvio del Jobs Act al 2015 e la lettera di Padoan a Bruxelles per dimostrare che il Rottamatore ''ha le polveri bagnate'' e non sa dove andare a recuperare i fondi per le sue promesse su Irpef e Irap.
Tutto dipenderà dai ''freddi numeri''. La maggioranza del Pd sostiene infatti che per la prima volta il governo ha messo in campo interventi fiscali a forte valore redistributivo, spostando il peso della tassazione dal lavoro alle rendite, ma è chiaro che tutto dovrà rientrare nella cornice della stabilità: i numeri dovranno rispondere proprio a questa esigenza. E l' impressione è che il parere della commissione Ue si rivelerà determinante per la riuscita del piano di Renzi.
Ma sono difficoltà che erano nel conto. L'importante è la reazione dei mercati, finora incoraggiante, e il fatto di poter presentare anche in Europa ''la svolta buona''. Convincere insomma gli investitori che il nostro Paese ha cambiato fase e si candida - nel semestre di presidenza italiano della Ue - a guidare il processo di revisione dell'austerity in favore di crescita e lotta alla disoccupazione.
Il premier, in vista del cruciale test delle elezioni europee, punta a capitalizzare i primi risultati: sono cominciate le votazioni sulla riforma del Senato, per ora senza sorprese, e anche il decreto lavoro ha iniziato il suo iter in un clima costruttivo, sebbene sia prevista sul testo la fiducia per scongiurare stravolgimenti. Gli scontri parlamentari su voto di scambio e immigrazione non allarmano più di tanto il segretario-premier. Renzi sembra condividere l'analisi di Massimo D'Alema: Beppe Grillo è in difficoltà a causa della politica innovativa del governo e cerca la rissa, nella speranza di calamitare il voto degli oltranzisti e dei delusi di destra e di sinistra. Per il momento il Rottamatore non replica, convinto che a parlare saranno i fatti.
Tuttavia c'è un dato da non sottovalutare: tutti i sondaggi parlano di una grossa fetta di elettorato, circa il 50 per cento, indecisa sul voto oppure orientata all'astensionismo. E' quella zona grigia nella quale tradizionalmente si gioca la partita finale: è un bacino enorme, fino ad oggi mai così esteso, al quale tutti sembrano avere difficoltà di accesso. Un fatto che dovrebbe indurre alla massima cautela.
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