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Riforme fuori da campagna elettorale, si vota dopo le europee

Emendamenti il 23 maggio, dubbi sui numeri e sulle procedure

Le riforme escono dall'agenda politica durante la campagna elettorale. Infatti la commissione Affari costituzionali del Senato ha fissato al 23 maggio il termine per presentare gli emendamenti al testo base, il che significa che essi saranno discussi e votati solo dopo le elezioni europee del 25 maggio. E forse è un bene vista la contraddittorietà vissuta mercoledì sera quando la commissione ha approvato il ddl del governo come testo base, ma anche un ordine del giorno di Calderoli che lo contraddice.

Questo lasso di tempo servirà a chiarire le idee sui contenuti e sui numeri in Senato. Forza Italia, con il capogruppo in Senato Paolo Romani, ha rivendicato il ruolo del suo partito nel cammino delle riforme. Infatti il ddl del governo è stato adottato come testo base in commissione anche con il voto di Forza Italia (ma Augusto Minzolini non ha ubbidito alle direttive): "E' stato rispettato il patto Berlusconi-Renzi", ha detto Romani. Ma subito prima Forza Italia aveva unito i propri voti a quelli di Lega, M5s, Sel ed ex Cinque stelle per approvare un ordine del giorno di Calderoli che indica una serie di modifiche al ddl del governo, che lo cambiano profondamente. A partire dall'elezione diretta dei senatori fino ad un federalismo molto più spinto che ricalca la Devolution del 2005, bocciata dal referendum popolare l'anno dopo. "Noi avevamo dichiarato inaccettabile il testo base - ha spiegato Silvio Berlusconi - ma c'è stata una pressione forte su di noi per votarlo. Per non cadere nella possibilità che si dicesse che interrompevamo la collaborazione su questo punto, noi abbiamo votato il testo base ma anche l'odg di Calderoli".

Il punto è come andare avanti sugli emendamenti di fronte a quelli che Gaetano Quagliariello ha definito "i continui 'contrordine compagni'" di Berlusconi. Lo stesso Quagliariello suggerisce di "blindare" un accordo nella maggioranza e poi cercare di allargare a Fi, ma anche ad altri. In commissione sui 29 voti il Pd ha otto voti sicuri (Mineo ieri sera era fuori dall'aula al momento del voto e ha sempre criticato il ddl del governo), Ncd 3, scelta civica 1, a cui si aggiunge il senatore Francesco Palermo. Mario Mauro (Pi) ieri è stato determinante con il suo sì all'ordine del giorno Calderoli e ci si interroga sulla sua affidabilità. Insomma per arrivare ai 15 voti per avere la maggioranza in commissione. occorre o recuperare Mauro e Mineo, oppure abbracciare Forza Italia con i suoi 4 voti certi (Minzolini non ha intenzione di recedere).

Matteo Renzi ha mantenuto la stessa linea ufficiale: "Perbacco, molto bene" ha detto ai giornalisti che gli chiedevano un commento. E ad una cittadino che lo invitava a non farsi "infinocchiare" da Berlusconi, il premier ha garantito: "Ricevuto, tranquilli". In effetti il percorso non si è bloccato ed è stato assunto il ddl del governo, seppur con l'intenzione di cambiarlo secondo l'ordine del girono Calderoli. Un voto bizzarro quello di mercoledì sera, definito "un pasticcio procedurale" da Dario Stefàno di Sel (ma il presidente del Senato Pietro Grasso ha assicurato sulla regolarità del voto). La presidente della commissione Anna Finocchiaro ha spiegato che quell'ordine del girono "rappresenta un orientamento per i lavori" cella commissione e che eventuali emendamenti che danno soluzioni diverse sono ammissibili. Ma essi avranno bisogno di voti in commissione, dopo le europee del 25 maggio, per essere approvati. A meno che Renzi dia retta a chi, come Roberto Giachetti, gli dice di andare alle urne.

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