Al termine di un vertice ''tosto e complicato'', Matteo Renzi si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno. Due i risultati politici che porta a casa: essersi proposto di fatto come il reale antagonista di Angela Merkel sul palcoscenico europeo, e il principio che con le riforme l'Italia conquista il diritto alla flessibilità.
Ma è proprio su questo secondo punto che si coglie una punta di amarezza del premier. E' giunto il momento, infatti, di approvare il pacchetto di innovazioni istituzionali per aprirsi quei margini di manovra ottenuti a Bruxelles dopo una battaglia notturna con la Germania: e al Rottamatore sembra sorprendente che tutte le volte che l'Italia va all'estero ad esprimere una sua posizione, la minoranza democratica riapra temi (come l'elettività del Senato) che sembravano chiusi. Chiara la critica ad un metodo che Renzi reputa studiato per indebolirlo e del quale - è il sottinteso - fa parte anche l'ipotesi di una candidatura di Enrico Letta alla guida del Consiglio europeo.
Ipotesi che il presidente del Consiglio ha seppellito sottolineando che non è mai stata avanzata da nessuno, anche perché sarebbe difficile immaginarla nel momento in cui la guida della Bce è in mano ad un italiano.
La schermaglia la dice lunga sul fuoco che cova sotto la cenere. Sebbene la cancelliera tedesca gli abbia riconosciuto lo spessore del leader di successo, Renzi sa bene di non poter ingaggiare il braccio di ferro con Berlino se le retrovie non sono in sicurezza. La partita delle nomine europee (che si concluderà il 16 luglio) non prevede spazi per la minoranza dem ma è ovvio che per avere spazi Renzi ha bisogno di presentare subito in Europa i primi risultati del ''piano dei 1000 giorni''. Vale a dire l'inizio delle votazioni in aula sulla riforma del Senato e il varo dell'Italicum entro luglio (anche se in versione modificata rispetto al testo iniziale). Invece Vannino Chiti non molla. La fronda Pd sembra volersi saldare ai dissidenti della maggioranza (che sono almeno 18), il che forse non pone problemi di numeri se il patto del Nazareno reggerà ma una questione politica sì: apre una crepa nel Pd che potrebbe avere esiti imprevedibili nel corso delle successive letture parlamentari della riforma.
Il Rottamatore si dice comunque determinato ed ottimista per i segnali di ''straordinaria innovazione'' che la maggioranza sta dando sulle riforme. Anche sul lavoro è pronto a discutere con tutti i contenuti della delega al governo, a condizione che ciò non significhi insabbiarne il cammino. Il metodo resta quello che ha avuto successo in Europa: prima i contenuti e poi gli schieramenti o i nomi. Su questo terreno, in particolare, il premier ammette di aver suscitato perplessità nei partner Ue quando ha detto che viola le regole dell'Unione chi parla solo di stabilità e non di crescita, ma è un modo per rilevare come questa stretta connessione sia un tema sfuggito finora alle istituzioni comunitarie oppresse da una visione burocratica delle relazioni economiche. Renzi sembra suggerire che qualcosa di simile rischia di accadere anche nel nostro Paese nel momento in cui certe regole (comprese quelle costituzionali o del lavoro) vengono interpretate come un confine invalicabile mentre invece sono solo una cornice flessibile nella quale costruire il mondo del futuro. Interpretazione tipicamente progressista che probabilmente non piace ai conservatori tedeschi e nemmeno a quelli di casa nostra.
Naturalmente il tentativo riformista di Renzi, giocato finora sulla sfida al rialzo, ha bisogno di risultati concreti. Molto dipenderà dalla sua capacità di parlamentarizzare la sfida di Beppe Grillo sul piano degli emendamenti all'Italicum (cosa che lascia scettici molti dei suoi) e di non compromettere l'accordo con Silvio Berlusconi il quale trova difficoltà speculare tra i fedelissimi. Ma è anche l'occasione in cui i leader hanno la possibilità di dimostrare la propria capacità di indirizzo e di tenuta dei rispettivi movimenti: quella di Renzi non è in discussione, la prova riguarda invece il Cavaliere e Grillo e sarà determinante per capire lo sviluppo della legislatura.
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