La riforma del mercato del lavoro è "la più importante" e sarà fatta "nel prossimo mese al massimo". Parola del premier Matteo Renzi che, da Londra, rilancia anche sull'articolo 18: "Non è una battaglia ideologica", né tantomeno "una mezza riforma": questa è "una grande riforma e sarà molto apprezzata dagli investitori". Perché l'articolo 18 limita "la libertà degli imprenditori", che vanno invece incentivati perché assumano, mentre per i lavoratori vanno cancellate le divisioni "tra chi ha diritti e chi non ne ha", garantendo loro un maggior sostegno anche nella ricerca di un nuovo posto. Ma il nodo da sciogliere resta sul fronte "politico", come detto dallo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Che proprio nel tentativo di districare una situazione che si è andata complicando ha avviato una mediazione con la maggioranza: nel pomeriggio ha incontrato, al ministero, una delegazione del Pd, tra cui il responsabile Economia Filippo Taddei.
E farà altrettanto con gli altri partiti di maggioranza. Il ministro in queste ore, riferisce chi era all'incontro, sta cercando una sintesi tra gli alleati di governo sulla delega all'esame del Senato. Dove la discussione riprenderà martedì prossimo, mentre da mercoledì 8 (giorno del vertice Ue sull'occupazione a Milano) partiranno le votazioni. L'obiettivo è capire come andare avanti, dopo il documento approvato dalla direzione Pd, se raccogliere le novità in un emendamento (ma condiviso con il relatore), un ordine del giorno (che è un impegno politico, non una modifica in senso stretto) o restare al testo della delega. D'altra parte, lo stesso ministro ha affermato che "dal punto di vista puramente normativo la norma così com'è scritta ci consente già di fare quello che si vuole fare". Se ci sarà la fiducia, "non è detto", risponde Poletti: "I numeri ci sono" per arrivare all'ok dell'Aula con "le procedure ordinarie", ma i tempi non sono una variabile indipendente.
"Non temo assolutamente franchi tiratori", afferma anche il ministro della Pa, Marianna Madia, convinta che il Pd sarà compatto. Ma la battaglia è ormai non più solo all'interno del Pd: i senatori centristi (Pietro Ichino di Sc, Pippo Pagano di Ncd, Hans Berger di Svp, Mario Mauro di PI e Antonio De Poli dell'Udc) chiedono compatti che il governo non modifichi il testo della delega ("già una sintesi adeguata"). Questa è "una posizione unitaria", avverte il coordinatore nazionale del Nuovo centrodestra, Gaetano Quagliariello, che "vale quanto il documento del Pd perché rappresenta circa sessanta senatori e conferma esservi sostanzialmente due posizioni nella maggioranza, peraltro non difficili da conciliare". E poi c'è Forza Italia che ribadisce il proprio 'no' di fronte a quella che ritiene una "marcia indietro" sul superamento dell'articolo 18 (con il reintegro per i licenziamenti disciplinari) e nega il "soccorso azzurro", come chiarisce il capogruppo al Senato di Fi, Paolo Romani, ("Noi siamo all'opposizione"). Il punto attorno al quale si è avvitato il dibattito è infatti quello di mantenere il reintegro nei licenziamenti disciplinari (per quelli discriminatori non si tocca, mentre per quelli economici viene sostituito dall'indennizzo), per i casi "particolarmente gravi e determinati", come ribadisce Poletti, (le fattispecie vanno specificate).
Dal fronte sindacale, la Cgil torna ad attaccare oltre che sul merito anche sulla mancanza di confronto: si va avanti per "editti fiorentini", dice il segretario generale Susanna Camusso. Il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, se la prende di nuovo con Renzi rompendo del tutto l'asse iniziale: "Non è un gran cambiamento aprire ai licenziamenti, mi sembra semplicemente di tornare al 1800. Io avevo capito invece che Renzi voleva andare oltre il 2000...". "Quale conflitto sociale? E' un conflitto tra il sindacato e il governo", dice l'ad di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, sostenendo le modifiche all'articolo 18.
Renzi alla Merkel: "Non può trattarci come studenti"
"Sto con Hollande, ma rispetto 3%"
(dell'inviata Paola Tamborlini)
Non cita mai direttamente Angela Merkel, ma il messaggio alla cancelliera che appena ieri è tornata a ripetere che bisogna fare 'i compiti a casa' è chiaro: "Nessuno ha il diritto di trattare gli altri Paesi come si trattano gli studenti", l'Europa "non è un posto per insegnanti e studenti". Matteo Renzi ha appena terminato l'incontro con il primo ministro britannico David Cameron, incassando solidarietà sulla flessibilità, e riconsolida subito l'asse con la Francia, che i compiti a casa, almeno fino al 2017, non li farà. "Io sto con Hollande", dice, se la Francia ha deciso di posticipare il rientro nei parametri del 3% "ha i suoi motivi". Precisando però che la situazione italiana è "diversa" e che Roma intende "rispettare i patti" e non sforerà il tetto del 3% sul bilancio. Resta il fatto che "un paese libero e amico come la Francia", che rappresenta la seconda potenza europea, non può essere trattato come uno scolaretto. Così come gli altri paesi europei. E l'Italia ne sa qualcosa.
Parole che arrivano mentre le previsioni per la crescita in Europa e nel mondo sono decisamente negative e nel giorno in cui le borse crollano. Il presidente della Bce Mario Draghi parla di previsioni di ripresa "modesta" per l'Eurozona. E la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde definisce la crescita dell'economia mondiale "mediocre". La soluzione è sempre quella: riforme - in fretta - e regole. Lo sottolinea Draghi, che invita i Paesi ad accelerare "le riforme del lavoro e le liberalizzazioni", ma anche ad usare la flessibilità rispettando le regole del patto di stabilità. I Paesi dell'area euro "non dovrebbero vanificare i progressi già conseguiti ma procedere in linea con le regole", ripete il giorno dopo l'annuncio francese. E davanti alle proteste per le strade di Napoli difende l'Eurotower: "La colpa della crisi non è della Bce". Ma la stoccata più dura a Parigi arriva proprio dall'ex ministro dell'Economia Pierre Moscovici, ora commissario agli Affari economici, pronto ad andare avanti con la procedura contro il 'suo' Paese. Le regole, dice, "valgono per tutti" e non possono essere interpretate in modo "creativo e spigliato".
Insomma il rigore torna a farla da padrone, mentre aumentano i Paesi che invocano la flessibilità. La linea di Renzi resta la stessa: l'Italia rispetterà i parametri, e rispetterà anche l'agenda di riforme, ma è indubbio che il rigore assoluto non ha salvato l'eurozona. Anzi. Per questo Renzi, incontrando Cameron a Downing Street è tornato a ripetere che serve un'Europa più snella e "smart". In grado di prendere le decisioni. E ha trovato sponda nel primo ministro britannico, convinto della necessità di un "cambiamento": l'Ue, ha detto, deve essere "più flessibile". Ora il timore è che il tempo stia scadendo. "E ci sono alcune nubi preoccupanti all'orizzonte, tra cui quella che la crescita resti lenta per un lungo periodo di tempo", ha detto Lagarde. In serata, davanti agli investitori della City, Renzi assicura che l'Italia è tornata ("Italy is back"), che i suoi conti sono "solidi e sostenibili" e che la riforma del mercato del lavoro - a partire dall'articolo 18, che rappresenta "una mancanza di libertà per gli imprenditori" - è la più importante e urgente tra quelle a cui il governo sta lavorando: arriverà, promette, al massimo entro un mese.
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