Matteo Renzi vola a Washington da Obama ma lancia in casa una "bomba" che sorprende tutti. In un colloquio con "Repubblica" quasi sulla scaletta dell'aereo, il premier ha detto che la riforma costituzionale potrebbe essere cambiata, buttando a mare il Senato delle Regioni per tornare al Senato elettivo, così da venire incontro alla minoranza del Pd, a fronte di un suo sì all'Italicum. Parole che hanno aperto una sorta di giallo, non del tutto chiarito dalle parole pronunciate da Renzi a Washington nel pomeriggio. "Cambiare la riforma costituzionale? Tornare al Senato elettivo? Per me si puo' fare" ha detto il presidente del Consiglio al quotidiano facendo sobbalzare sulla sedia gli esponenti della minoranza del Pd e delle opposizioni, quelli della maggioranza, e anche i ministri e il presidente del Senato Pietro Grasso che dovrà assicurare la correttezza del passaggio parlamentare della riforma costituzionale. La sorpresa generale ha riguardato due aspetti. Innanzitutto- si sottolinea in ambienti parlamentari - Renzi avrebbe ipotizzato la retromarcia su un punto essenziale della sua riforma (il Senato a elezione diretta anziché quello delle Regioni): Ma il ddl è stato approvato in quel punto (è l'articolo 2) sia da Palazzo Madama che da Montecitorio, quindi non può essere modificato, si dovrebbe cominciare tutto da capo, come hanno sottolineato vari costituzionalisti (Augusto Barbera, Stefano Ceccanti) e Davide Zoggia della minoranza Pd ("si torna al vicolo corto, come al Monopoli").
A norma di Costituzione e di regolamenti parlamentari sull'attuale testo si può solo intervenire su alcuni commi che la Camera ha modificato. Per tutti questi motivi, nella minoranza Dem c'è stata grande cautela: "Renzi scopra le carte e faccia capire le sue intenzioni", è stato il refrain. Qualcuno come Alfredo D'Attorre si è spazientito non fidandosi del premier: "la proposta di Renzi è estemporanea". Ancora più arrabbiato Renato Brunetta: "Tutto sembra essere merce di scambio per il premier Renzi. Un premier amorale". Nello sconcerto anche la maggioranza, fino a una smentita ufficiosa di Palazzo Chigi: "La legge elettorale va approvata cosi' come è" e sulla riforma costituzionale "si va avanti con un confronto nel merito ma nessuno scambio con i ribelli Pd". Parole che dicono poco, nel senso che lasciano intendere delle possibili modifiche da non leggere come uno scambio in casa Pd. Di qui nuove richieste di chiarimenti come quella di Francesco Boccia: "Ma Renzi apre alla mediazione o no?". A chiudere alle modifiche sono stati autorevoli esponenti della maggioranza Pd come il vicecapogruppo vicario alla Camera Ettore Rosato e la vicepresidente della Camera Marina Sereni: l'articolo 2 del ddl non si puo' più cambiare. Dichiarazioni che sono sembrate l' interpretazione autentica del Renzi-pensiero. Da Washington Renzi si è limitato a dire: "Anche se in Italia c'e' chi vorrebbe tutte le volte ripartire da zero, le riforme hanno preso una strada che non ha possibilità di essere bloccata". E in serata il sottosegretario Luca Lotti, uno dei più stretti collaboratori del premier, ha di fatto tolto ogni dubbio: sul Senato elettivo "io la vedo molto dura, sinceramente".
Volando a Washington per incontrare Barack Obama alla Casa Bianca, Matteo Renzi sperava di "essere lasciato in pace per 48 ore" dalla battaglia con la minoranza. Di tirare il fiato dopo lo scontro all'assemblea di mercoledì ed in vista della guerra finale in commissione e soprattutto in Aula. Ed invece la non contrarietà al Senato elettivo, espressa in un colloquio giornalistico, ha riaperto il vaso di Pandora. "Macchè scambi o trattative, andiamo avanti sulla strada segnata", avverte da Washington la minoranza chiarendo che "non si può ogni volta ripartire da zero".
Nella "capitale del mondo", come il presidente del consiglio chiama il cuore politico degli Stati Uniti, Renzi non concede il tradizionale incontro solo con la stampa italiana. Non era in programma prima che scoppiasse l'ennesima grana nel Pd sulle riforme. Ed il premier non cambia l'agenda per tentare di frenare ricostruzioni e nuove polemiche al di là dell'Oceano. Tutta l'attenzione mediatica, a suo avviso, andrebbe rivolta oggi ai molti fronti geopolitici ed all'intesa sulla crescita affrontati nel vertice nello Studio Ovale con Barack Obama. D'altra parte, non solo per la distanza fisica con l'Italia, il premier ritiene che la sua posizione sulle riforme sia sempre la stessa.
E che l'ennesima tempesta in un bicchier d'acqua sia stato provocata, spiegano i renziani, da un'interpretazione giornalistica. Se l'Italicum deve andare in porto così come è entro maggio, ne' un giorno ne' un giorno meno, sulla riforma costituzionale se ne può parlare. "Sono pronto ad un confronto nel merito", ha assicurato in pubblico ed in privato il premier nei giorni scorsi. Ma questo non vuol dire che il leader Pd è disposto a cedere ai ricatti e agli aut aut della minoranza. Nè ad incassare la legge elettorale solo grazie ad una trattativa che conceda alla minoranza il Senato elettivo in cambio del via libera alla riforma elettorale. "Non ho bisogno di fare scambi per chiudere sull'Italicum", mostra i muscoli il premier che sia con Obama sia con gli studenti della Georgetown University ha insistito sulla sua determinazione a svegliare l'Italia "la bella addormentata" per farla tornare ad essere centrale e farla tornare a crescere. Se nelle prossime settimane, quando riprenderà il dibattito a Palazzo Madama sulla riforma della Carta, la minoranza, ma anche altre forze politiche, avranno suggerimenti per migliorare il testo, se ne può parlare. Ma l'impianto, il cuore rappresentato dal fatto che i futuri senatori non saranno eletti, non si può stravolgere altrimenti, è il ragionamento di Renzi, le riforme del governo sono come la tela di Arianna, dove di giorno si fila e la notte si sfila.
"Dobbiamo andare avanti - ha spiegato anche davanti agli studenti della Georgetown University - con l'energia, l'impegno che abbiamo messo in quest'ultimo anno". La strada è segnata e per non farsi bloccare il leader Pd è disposto ad andare alla conta in Aula con la minoranza. Anche con un voto di fiducia che rischia di diventare uno spartiacque per il Pd, un partito, ha detto Renzi quasi con un sospiro davanti a Obama, che "vorrei fosse davvero democratico": ci si confronta, si vota democraticamente ma poi si fa come decide la maggioranza.
Riforme: il Senato delle Regioni e quello elettivo
Le differenze tra il ddl Boschi e proposte minoranza Pd
di Giovanni Innamorati
L'eventuale ritorno ad un Senato elettivo rimetterebbe in discussione l'impostazione della Riforma costituzionale portata avanti dal governo, che prevede invece un Senato composto da esponenti dei Consigli regionali nominati dagli stessi consiglieri regionali. Il cambio della composizione, infatti, prevista dall'articolo 2 del ddl Boschi, implicherebbe anche un cambio di funzioni e poteri. Il ddl del governo, approvato il 30 marzo 2014 e trasmesso a Palazzo Madama l'8 aprile, era un po' diverso dal testo poi licenziato l'8 agosto dal Senato, ma non nell'impostazione. Esso infatti prevedeva che ogni Regione mandasse nel futuro Senato sei senatori: il Presidente della Giunta, il sindaco del capoluogo, nonché due consiglieri Regionali e due sindaci. Ad essi si aggiungevano 21 senatori di nomina del Presidente della Repubblica, in carica per sette anni. Dopo una lunga mediazione con Forza Italia si giunse all'attuale testo, confermato poi dalla Camera dei deputati lo scorso 10 marzo: i senatori scendono a 100 (più cinque di nomina presidenziale) eletti dai Consigli regionali tra i propri membri, più un sindaco, in proporzione al peso demografico di ciascuna regione.
Fu invece bocciata l'impostazione di Vannino Chiti e di alcuni senatori della minoranza Pd che proponevano un Senato elettivo. La differenza riguardava anche i poteri. Infatti il Senato delle Regioni non vota la fiducia e non approva le leggi (tranne le riforme istituzionali e le leggi che incidono il governo del territorio), potendo solo proporre alla Camera delle eventuali modifiche in modo non vincolante. Il Senato elettivo, secondo la proposta di Chiti, doveva invece avere molti più poteri legislativi, pur non votando la fiducia. Inoltre i senatori, nella proposta Chiti, essendo eletti in campagne elettorali politiche risponderebbero a logiche di partito e non territoriale, come per il Senato delle Regioni. Sempre in tema di composizione del Senato una lunga mediazione ha riguardato la legge ordinaria che dovrà stabilire il sistema con cui i Consigli Regionali eleggono i rispettivi senatori. Forza Italia, nella norma transitoria (attuale articolo 39 del ddl), ha preteso che fossero inseriti dettagliatamente i criteri della futura legge; essa dovrà essere tale da assicurare che ogni Consiglio eleggerà anche esponenti delle opposizioni.