Il matrimonio è tale solo tra persone di sesso diverso, altrimenti si tratta di un atto "inesistente". Lo stabilisce il Consiglio di Stato che ha ribaltato la decisione del Tar annullando il registro del Comune di Roma per la trascrizione delle nozze gay celebrate all'estero. La sentenza indica "la diversità di sesso dei nubendi quale prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio", "in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell'istituto, oltre che all'ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna".
Quindi, secondo i giudici del Consiglio di Stato, l'atto matrimoniale all'estero tra due persone dello stesso sesso "risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento".
L'atto appare, più che nullo, "inesistente", visto che manca "di un elemento essenziale della sua stessa giuridica esistenza". E dunque "il matrimonio omosessuale deve intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate proprio in quanto privo dell'indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell'atto di matrimonio".
La sentenza interviene poi anche su un altro aspetto e cioè sulla legittimità della decisione del prefetto di Roma (all'epoca Giuseppe Pecoraro, ndr) di annullare le trascrizioni delle unioni omosessuali all'estero disposte dal sindaco Ignazio Marino. Il Tar aveva negato al prefetto questo potere, "reputando la relativa potestà riservata in via esclusiva al giudice ordinario". Il Consiglio di Stato ribalta la decisione sottolineando il "potere di annullamento gerarchico d'ufficio da parte del prefetto degli atti illegittimi adottati dal sindaco, nella qualità di ufficiale di governo, senza il quale, peraltro, il loro scopo evidente, agevolmente identificabile nell'attribuzione al prefetto di tutti i poteri idonei ad assicurare la corretta gestione della funzione in questione, resterebbe vanificato". Infatti, argomentano i giudici, "se si negasse al prefetto la potestà in questione, la sua posizione di sovraordinazione rispetto al sindaco (allorchè agisce come ufficiale di governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire l'osservanza delle direttive impartite dal ministro dell'interno ai sindaci e, in definitiva, ad impedire disfunzioni o irregolarità nell'amministrazione dei registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine".
La sentenza infine osserva che "il dibattito politico e culturale in corso in Italia sulle forme e sulle modalità del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sconsiglia all'interprete qualsiasi forzatura (sempre indebita, ma in questo contesto ancor meno opportuna) nella lettura della normativa di riferimento che, allo stato, esclude, con formulazioni chiare e univoche, qualsivoglia omologazione tra le unioni eterosessuali e quelle omosessuali".
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