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Vatileaks 1, i 'corvi' di Ratzinger e il maggiordomo

Vatileaks 1, i 'corvi' di Ratzinger e il maggiordomo

Sono passati tre anni dall'arresto del maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele

CITTA' DEL VATICANO, 03 novembre 2015, 10:28

di Manuela Tulli

ANSACheck

Paolo Gabriele con il Papa Benedetto XVI - RIPRODUZIONE RISERVATA

Paolo Gabriele con il Papa Benedetto XVI - RIPRODUZIONE RISERVATA
Paolo Gabriele con il Papa Benedetto XVI - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sono passati tre anni dall'arresto del maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, Paoletto, come lo chiamavano in Vaticano. Quasi un 'figlio' per Ratzinger, che tuttavia aveva trafugato, godendo della più ampia fiducia del pontefice tedesco, una grande quantità di documenti riservati. Il processo, la condanna, e poi la grazia, con il Vaticano che però si adopera anche per trovargli un nuovo lavoro. E' Vatileaks 1, il ciclone che investì il pontificato di Joseph Ratzinger, con la diffusione delle carte private del Papa, dagli scottanti dossier sulle finanze a irrilevanti bigliettini personali. Tutto finito nel libro "Sua Santità" di Gianluigi Nuzzi. L'arresto e la carcerazione sono in quel momento un inedito nel Vaticano dell'era recente e il processo si svolge alla luce del sole, con i media che possono assistere passo passo la vicenda e possono raccontare. Gabriele viene tenuto un periodo anche nell'angusta cella di sicurezza, non immaginata fino a quel momento per una detenzione prolungata.

A pagare dunque è un maggiordomo e, in più piccola parte, anche un tecnico informatico in Vaticano, Claudio Sciarpelletti. Gli unici colpevoli in un dossier che ha scosso dal profondo le stanze vaticane e che qualcuno considera anche tra i motivi che hanno portato l'anziano Benedetto XVI a fare un passo indietro. Successivamente un corposo dossier, proprio su questi Vatileaks, è stato messo a punto da una Commissione d'inchiesta composta da tre cardinali, lo spagnolo Julian Herranz, lo slovacco Jozef Tomko e l'italiano Salvatore De Giorgi. Sono ancora impresse nella mente di molti quelle fotografie scattate a Castel Gandolfo, il 23 marzo del 2013, con i due Papi in cordiale colloquio. Bergoglio era stato eletto Papa da 10 giorni e va a trovare Benedetto XVI che gli consegna un grande scatolone bianco contenente documenti, presumibilmente proprio il dossier Vatileaks.

In molti sono coloro che credono che per lo scandalo abbiano pagato solo i 'pesci' più piccoli. Nessun prelato, nessun alto dirigente d'Oltretevere. La fuga di documenti sarebbe stato l'atto di una sola persona, certo tra le più vicine a Papa Ratzinger, ma pur sempre solo l'aiutante di camera. Ma la Segreteria di Stato, alla fine del processo a Gabriele, ha sottolineato senza ombra di dubbio che "le varie congetture circa l'esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate". Eppure tra i 'leaks' c'erano anche quelle lettere che furono i primi sentori dei 'veleni' in Vaticano: monsignor Carlo Maria Viganò, ex segretario del Governatorato della Città del Vaticano, oggi nunzio a Washington, scrive al Papa e ad alti prelati per denunciare i presunti casi di corruzione e malaffare all'interno del Governatorato. Lamenta anche l'ingiustizia del trasferimento e di fatto svela uno scontro con l'allora Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Viganò in America e Bertone a casa, sostituito da Pietro Parolin. Sembrava finire così anche questa vicenda. Qualcuno di recente ha anche scritto che i documenti del Papa ormai viaggiavano su riservatissime chiavette ubs, mettendo fine all'epoca delle carte o fotocopie da dare in pasto ai media. Ma la voglia di fare la spia sarebbe invece tornata con documenti e finanche con la 'registrazione' delle parole del Papa nelle riunioni riservate.

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