La seconda giornata di protesta è passata, tra assemblee e riunioni spontanee dei tassisti romani, anche loro sul piede di guerra dopo l'approvazione in Senato del maxiemendamento al Milleproroghe che - a loro dire - favorirebbe Uber, la multinazionale di noleggio privato. "Siamo amareggiati, arrabbiati, demoralizzati - racconta Carlo Di Alessandro -.
Quando alcuni senatori italiani, d'accordo con il governo, tradiscono gli accordi e le parole di un ministro per favorire una multinazionale straniera, questo dà molta amarezza". Ormai da quasi venticinque anni alla guida del suo taxi, Di Alessandro mostra documenti e faldoni delle tante cause intentate contro Uber, mentre il sole fa capolino dietro all' Altare della Patria, con il posteggio taxi più vuoto che mai.
"Siamo vittime di un vile attacco da parte di alcuni senatori - spiega - che hanno voluto tradire alcuni accordi espressi nel marzo scorso per agevolare Uber". L'ala dura della protesta romana punta il dito contro la senatrice Pd Linda Lanzillotta, prima firmataria del contestatissimo emendamento al Milleproroghe che "sostanzialmente - spiega Di Alessandro - finirebbe per sospendere ogni norma in una sorta di sanatoria per furbi, abusivi e criminali. Questa è una situazione insostenibile".
"Siamo tutti padri di famiglia - ribadisce più volte Di Alessandro -. Oggi sto rivivendo quello che mi è capitato quando avevo un negozio di alimentari prima di fare il tassista. Sono stato soppiantato dai grandi distributori, esattamente quello che potrebbe capitare ancora una volta oggi nel settore taxi".
Quella di Di Alessandro è una delle tante storie della piazza delusa, di quella piazza che promette una lunga battaglia almeno fino a martedì, quando il Milleproroghe approderà alla Camera dei Deputati. Nel frattempo turisti e romani cercano di dribblare i disagi, ma qualcuno - al secondo giorno senza auto bianche in città - comincia a perdere la pazienza. "Andiamo via prima - dice un signore di Padova passando per il posteggio vuoto di piazza Venezia -. La lasciamo sta città e non gli diamo più una lira".
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