Il "demone" della scissione rischia di precipitare il Partito democratico nel passato. Un passato fatto di Ds e Margherita, di vocazione minoritaria e divisioni autolesioniste. Walter Veltroni sale sul palco dell'assemblea Pd per la prima volta dopo anni di assenza. E lancia il suo appello all'unità. Il primo segretario rivendica il Lingotto e la proposta di un partito "tutto nuovo e davvero radicale nel suo riformismo". Ma ora la scissione rischia di sancire la mancata fusione tra le due culture politiche. E allora lui torna, sale sul palco e chiede alla minoranza di restare, perché "delle loro idee, del loro punto di vista il Pd ha bisogno".
Romano Prodi da tre anni non rinnova la tessera di partito e ha scelto di tacere: neanche oggi rompe il suo silenzio, non entra nelle dinamiche interne al Pd. Veltroni, invece, accetta l'invito di Renzi: "Nei momenti di difficoltà lui c'è sempre stato", lo ringrazia il segretario, svelandone la presenza in platea. E il primo leader Dem, che da tempo aveva chiuso con la vita di partito, si iscrive a parlare. Per provare a scongiurare che il progetto venga archiviato, evitare che il simbolo "venga ripiegato e messo in soffitta". Solo dieci anni fa, il Lingotto: i Ds e la Margherita che si uniscono, in nome della vocazione maggioritaria. Quello spirito Veltroni lo rivendica: "La sinistra non ha diritto di essere minoranza per scelta. Deve conquistare consensi ampi e non sarà con la parola d'ordine della rivoluzione socialista che accadrà.
Il Pd rischia di rompersi per una una questione che appare interna, di procedure, che non sarà capita". Dalla vittoria di Berlusconi nel '94 alla caduta di Prodi e alla sua mancata elezione alla presidenza della Repubblica, avverte, "la sinistra, quando si è divisa, ha fatto male a sé e al Paese". "Dobbiamo abituarci a convivere tra di noi", è l'appello all'unità. Perché è "devastante", scandisce Veltroni, la prospettiva di un futuro fatto di legge elettorale proporzionale e preferenze: non basterà allora fare un'alleanza "contro i Cinque stelle" perché "non sarà il consociativismo a sconfiggere l'antipolitica ma il riformismo vero. Se la prospettiva è il ritorno alle coalizioni, non chiamatelo futuro, chiamatelo passato".
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