Una sola volta in 70 anni di storia repubblicana. L'unico ministro a essere stato messo alla porta dal Parlamento è stato, nel 1995, Filippo Mancuso, guardasigilli nel governo di Lamberto Dini. Tutti gli altri casi, una ventina a partire da quello di Giulio Andreotti nel 1984 (il Pci lo accusava di aver coperto le trame di Michele Sindona), si sono invariabilmente conclusi con il salvataggio dei ministri.
Una storia rocambolesca, quella di Mancuso . Era stato nominato ministro della Giustizia per le sue riconosciute competenze giuridiche. Quando però cominciò a prendere di mira il pool mani pulite di Milano mandando in procura gli ispettori ministeriali, la maggioranza capì che Mancuso era animato da furore antigiustizialista. Dini provò a convincerlo ad ammorbidire la sua battaglia contro il pool, ma Mancuso tirò dritto per la sua strada. I gruppi di maggioranza (Pds, popolari, Lega Nord più Rifondazione) presero allora la decisione di sfiduciarlo al Senato con 173 voti a favore, 3 contrari e 8 astenuti. Mancuso però non si dimise: fece ricorso alla Corte Costituzionale, che gli diede torto, argomentando che le mozioni di sfiducia individuali sono perfettamente legittime anche se non espressamente previste dalla Costituzione.
Da allora un caso simile non si è mai ripetuto. La storia delle sfiducie della seconda repubblica è una storia di salvataggi. Se la cavò, nel 1997, il ministro dell'Agricoltura del governo Prodi Michele Pinto, del Ppi, accusato dalla Lega di non aver tutelato gli allevatori italiani nella vicenda delle quote latte. Nel 1998 fu la volta del ministro dei Trasporti Claudio Burlando, messo nel mirino da An come responsabile dello "sfascio" del sistema ferroviario. Anche lui salvato dall'aula della Camera. Sempre nel 1998 la Camera respinse le mozioni di sfiducia contro Giorgio Napolitano, all'epoca ministro dell'Interno, e il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick: erano state presentate dal Cdu e dalla Lega dopo la fuga di Licio Gelli della quale accusavano i due ministri.
Qualche anno dopo, nel 2005, si salvò dalla sfiducia il ministro delle Infrastrutture di Berlusconi Piero Lunardi, messo sulla graticola per un blocco dell'autostrada A3 dovuto alla neve. I crolli nell'area degli scavi di Pompei convinsero l'opposizione a chiedere le dimissioni del ministro della Cultura Sandro Bondi: la Camera le respinse.
Nel 2013. invece, la Camera disse no alla sfiducia chiesta dal M5s contro la ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri (accusata di aver cercato di far scarcerare la figlia dell'imprenditore Salvatore Ligresti). L'ultima sfiducia respinta, quella contro la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi il 18 dicembre 2015. L'avevano presentata i cinque stelle accusandola per il presunto conflitto d'interessi nella vicenda della Banca Etruria, dove era implicato il padre. Qualche volta capita che le mozioni non vengano votate.
Nel 2010 Bossi, ministro delle Riforme del governo Berlusconi, schivò la mozione di sfiducia presentata dal Pd chiedendo scusa ai romani: li aveva apostrofati con la battuta "spqr, sono porci questi romani". La mozione fu ritirata e Bossi continuò a fare il ministro. Unico, nel suo genere, il caso di Maurizio Lupi: ministro delle Infrastrutture di Renzi coinvolto in una vicenda di favori e regali di imprenditori (c'era di mezzo anche il figlio che aveva ricevuto in dono un orologio Rolex), il 20 marzo 2015 anticipò tutti e si dimise prima del dibattito.
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