Il dopo-referendum sull'autonomia in Lombardia e Veneto apre scenari incerti che prefigurano un confronto tra governi regionali forti e un governo centrale debole, col rischio di "concessioni immotivate" e "tensioni fortissime" tra le Regioni. E' l'opinione del costituzionalista Stefano Ceccanti. Aspetti da non sottovalutare, soprattutto guardando alla Catalogna, dove "la spinta secessionista si è sviluppata anche a causa dell'indebolimento del Governo centrale".
Il ragionamento di Ceccanti parte da una domanda: "Come si fa a far uscire soluzioni equilibrate e coerenti nel loro insieme da trattative tra un governo nazionale debole e governi regionali fortissimi?". Dietro questo interrogativo c'è la situazione determinata dal "fallimento del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre, che lascia sul terreno un governo nazionale molto debole" a fronte di "governi regionali fortissimi". La forza di questi ultimi, spiega il giurista, "deriva dalle stesse regole istituzionali, che garantiscono alle Regioni il governo di legislatura grazie all'elezione diretta e al premio di maggioranza".
E' proprio tra questi due soggetti e in questa condizione di sbilanciamento, che dovrebbe aprirsi ora una trattativa sulla cessione di competenze. "Il fatto che alcune Regioni si sentano in grado di gestire meglio determinate materie - osserva Ceccanti - non è affatto un male e può concretizzarsi. Tra altro l'esito referendario indica che questo è quel che pensa gran parte degli elettori di Veneto e Lombardia. Anche se, va detto un ruolo lo hanno giocato senz'altro alcune presentazioni demagogiche, come il poter avere indietro il 90% del prelievo fiscale, cosa impossibile". Queste aspirazioni si incrociano con "la logica del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione", quello su cui poggiano i referendum di Veneto e Lombardia e che permette, attraverso una legge dello Stato, di concedere più autonomia alle Regioni in determinati ambiti.
"Quest''articolo - spiega il costituzionalista - punta a diversificare deve è opportuno, non a uniformare su un livello diverso. Per capirci, esattamente il contrario di quanto sostiene Berlusconi quando invita tutte le Regioni a chiedere tutti i poteri, dal momento che è assai improbabile che tutte le Regioni siano in grado di gestirli". Ma oggi ci sono realmente le condizioni per diversificare dove opportuno? Secondo Ceccanti, "governare un regionalismo differenziato è più complesso che governarne uno più uniforme, richiede un equilibrio istituzionale tra Governi regionali e centrale. Oggi i primi sono, come detto, fortissimi. Il Governo nazionale, invece, è molto debole perché, fallito il referendum costituzionale di dicembre, non si è potuto dare corso a determinate riforme, e permangono il meccanismo della doppia fiducia e il processo di riproporzionalizzazione dei sistemi elettorali. Nella riforma costituzionale, inoltre, erano previste condizioni oggettive che restringevano la possibilità di attuazione del comma 3 dell'articolo 116 della Costituzione".
La domanda è cosa succederà ora. Secondo Ceccanti "c'è il rischio o che, per timore, non si faccia niente, con la conseguenza di frustrare le richieste delle popolazioni, tanto più dove queste sono supportate da un referendum; o di cedere e di fare concessioni immotivate alle Regioni. In entrambi i casi ne deriverebbero tensioni fortissime tra Regioni". In altri termini "è difficile gestire razionalmente un processo di questo tipo senza rafforzare prima le istituzioni del Governo nazionale. Non basta voler evitare la Catalogna per evitarla davvero".
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