Lo strappo c'è, va oltre il dissenso "rispettoso", e lascia sul terreno una scia di tensioni, che hanno portato ai minimi termini i rapporti tra Paolo Gentiloni e alcuni dirigenti dem. Si proverà a ricucire subito, questo fine settimana, quando il premier, accolto da Matteo Renzi, salirà sul palco della conferenza programmatica del Pd a Napoli. Dove si proverà, con afflato unitario, a invertire la tendenza che ha visto, da Prodi a Napolitano, fino all'addio di Pietro Grasso, sempre più "big" della sinistra prendere le distanze dal Pd renziano.
Ma la rottura sulla conferma di Visco al vertice di Bankitalia, che ha visto il premier imporsi sul segretario, rischia di non restare un caso isolato. Perché Renzi ha dismesso i panni zen per la modalità d'attacco a lui più congeniale.
Gentiloni, assicurano dal governo, non tradirà la linea che si è dato: continuerà a "surfare" nelle acque agitate di fine legislatura, mediando fino all'ultimo, per portare a casa il risultato della legge di bilancio e, magari, anche dello ius soli. Nelle commissioni, dicono dal Senato, il Pd è già abituato a fare a meno di Mdp e non verrà certo rifiutato il soccorso di Verdini (ma sullo ius soli non basta a compensare il "no" di Ap): nessun passaggio è scontato, ma la manovra - è la convinzione - arriverà in porto senza grossi scossoni. Una mediazione, raccontano fonti di governo, Gentiloni l'ha tentata fino all'ultimo anche su Banca d'Italia, nonostante da giorni ormai i renziani considerassero scontata la conferma di Visco. Si è tentato, riferiscono più fonti, di cercare altre strade, incluso il nome di Fabrizio Saccomanni, ben accolto in Bankitalia.
Ma alla fine ha prevalso la linea del rinnovo di Visco, condivisa dal Quirinale in una logica di tutela dell'autonomia di Bankitalia. E Gentiloni ha preso la prima decisione di rottura con Renzi.
Non è la prima volta, racconta in realtà il segretario, pur ribadendo amicizia e stima per Gentiloni, che c'è stata divergenza tra Chigi e il Nazareno, ma ogni volta le tensioni sono state tenute sotto traccia in nome dell'unità. Questa volta no, perché il tema delle banche viene ritenuto fondamentale da Renzi anche in vista della campagna elettorale. E i parlamentari a lui più vicini in commissione d'inchiesta sulle banche porteranno avanti la linea dura, senza risparmiare nessuno: dal riconfermato governatore, che sarà audito a breve, fino alla Consob di Giuseppe Vegas, che è in scadenza e sulla cui sostituzione si è già aperta sotto traccia una nuova partita. Intanto, però, la linea d'attacco decisa da Renzi su ogni singolo tema, dalle banche fino alle pensioni, non aiuta - sottolineano i dirigenti non-renziani del Pd - in quell'opera di ricomposizione necessaria in vista di elezioni che vedranno di nuovo in campo le coalizioni. "La destra una coalizione ce l'ha già, noi no", non si stancano di ripetere da Andrea Orlando a Dario Franceschini. Lo stesso segretario, assicurano i renziani, ne è consapevole: cercherà di allargare il più possibile il dialogo a sinistra, come dimostra l'aver citato il nome di Pisapia tra i suoi interlocutori, nel giorno del via libera al Rosatellum. Ma se i renziani danno per impossibile un'alleanza elettorale con Mdp, è proprio lì che cercano di spingere i dirigenti Dem, invitandolo a mettersi in gioco sulla leadership. Cercheranno di farlo ancor di più dopo le elezioni siciliane, che ora - sottolineano - sono ancora più difficili dopo che un nome simbolo come Pietro Grasso ha preso le distanze dal Pd. Di lui, a taccuini chiusi, i renziani esprimono giudizi che dir negativi è poco: "Ci fa la guerra da anni - dice un dirigente - ora vuole giocarsi la partita dentro Mdp, ma dopo aver bruciato Pisapia bruceranno anche lui". Ma la sensazione, ammettono in casa Dem, è di un altro pezzo di sinistra che se ne va.
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