Arrivò a Palermo, dove aveva chiesto di essere trasferito dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio, il 15 settembre 1993 e per prima cosa si fece accompagnare da Totò Riina, arrestato qualche mese prima. "Gli chiesi se avesse qualcosa da dichiarare, rispose solo che voleva essere subito portato in carcere". A poche ore dalla morte del 'capo dei capi', il ricordo di Gian Carlo Caselli vola a quel fugace incontro di 24 anni fa, l'inizio delle indagini che portarono il magistrato a dare un contributo significativo alla lotta alla mafia.
"Dopo le stragi del '92 il Paese stava attraversando una fase orribile. Era in pericolo la stessa democrazia", ricorda Caselli, dal 1993 al 1999 procuratore di Palermo. "C'era il diffuso timore che tutto fosse finito, che non ci fosse più niente da fare - aggiunge -. L'arresto di Riina fu invece il primo passo di un percorso che ha consentito alla nostra democrazia di sopravvivere". La fine di una "pagina crudele della nostra storia", fatta di "enormi disfatte, la terza guerra di mafia, la decapitazione feroce di tutte le istituzioni di Palermo, una ecatombe come non c'è mai stata".
La scia di sangue che in quegli anni Riina si porta dietro, con oltre mille morti ammazzati tra cui tanti carabinieri, poliziotti e magistrati, ma anche politici, magistrati e esponenti della società civile, è lunghissima. "Era un boss feroce, spietato, crudele", sottolinea Caselli, che ritiene appropriata la definizione di 'capo dei capi' per il padrino di Corleone. "Lo era indubbiamente", osserva il magistrato, secondo cui però "Cosa nostra è prima di tutto una organizzazione collaudata, potente, con punti di riferimento, relazioni esterne, complicità, collusioni con pezzi del mondo legale, della politica, dell'economia, della finanza".
"Temo che questo non cambierà", sottolinea Caselli, che definisce l'Italia "ancora un Paese con problemi di mafia". Tanto più che la morte di Riina si porta dietro qualche mistero, "come tutte le vicende italiane di una certa complessità".
"Preferisco però sottolineare, ancora una volta, lo straordinario valore positivo dell'arresto che, 24 anni fa, diede una svolta al contrasto alla mafia". Perché l'Italia, conclude, è "anche il Paese dell'antimafia, per i suoi morti e le tante vittime innocenti, la legislazione, d'avanguardia, l'organizzazione. E, soprattutto, l'antimafia sociale, dei diritti, che fa campo a tante associazioni di volontari, come Libera. Siamo anche questo: ricordiamolo e rivendichiamolo orgogliosamente".
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